In occasione del 30° anniversario del barbaro assassinio di Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano ricordiamo gli avvenimenti di quel tragico 4 gennaio 1992.
Salvatore Aversa era un poliziotto capace, zelante al massimo, memoria vivente del Commissariato di Lamezia Terme.
Questo sua ostinazione ad avversare la malavita locale creava problemi alle cosche catanzaresi, che decisero di eliminarlo con una esecuzione plateale.
Era il 4 gennaio del 1992 quando l’Italia intera rimase impietrita dalle immagini tramesse dai telegiornali: l’agguato all’ispettore di Polizia Salvatore Aversa e Lucia Precenzano, sua moglie, di Torre Annunziata, commesso in pieno centro di Lamezia, massacrati con oltre trenta proiettili.
Salvatore Aversa era un poliziotto vecchio stampo, nella sua lunga carriera di investigatore si occupò di dare la caccia agli 'ndranghetisti della zona di Lamezia Terme.
Espertissimo, conosceva fatti, storie, boss e cosche a memoria.
Nello scioglimento per infiltrazione mafiose del comune di Lamezia Terme, deciso dal Ministro degli Interni qualche mese prima, c'era anche un suo decisivo rapporto.
Uno sbirro d'altri tempi, temutissimo dalle cosche. Tanto temuto che decisero di ammazzarlo assieme alla moglie.
Quella mattina di gennaio Salvatore Aversa e sua moglie Lucia Precenzano uscirono da un palazzo della centralissima via dei Campioni di Lamezia Terme. Stavano per salire sulla loro Fiat 500 quando due killer professionisti col volto scoperto si avvicinarono e spararono, non lasciando scampo alla coppia.
E non ci fu pace dopo la loro morte. Una presunta testimone oculare, la giovane Rosetta Cerminara, rivolse le accuse contro due giovani, affermando di aver visto il suo ex fidanzato Molinaro e l'amico Rizzardi sparare contro i due coniugi.
Divenne la "ragazza coraggio", il volto della Calabria che voleva ribellarsi alla n'drangheta.
Tre miliardi di vecchie lire. Tanti furono i soldi che lo Stato passò alla supertestimone Cerminara, inserita con la sua famiglia nel programma di protezione.
Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro appese al petto dell "eroina" la medaglia d'oro al valore civile, osannata da Luciano Violante, presidente della Commissione Antimafia, dal giudice Antonino Caponnetto, dal Ministro Nicola Mancino e tutti i vertici investigativi che, massicciamente, coordinarono le indagini con grosso spiegamenti di uomini e mezzi.
La Cerminara aveva capito che quello era l'unico modo per diventare protagonista, avere tanti soldi dallo Stato e salvare la famiglia dal fallimento, ma anche vendicarsi del trattamento subito dal suo ex fidanzato che l’aveva lasciata.
La verità venne a galla nel 1996, quattro anni dopo il delitto, quando due mafiosi pugliesi, Stefano Speciale e Salvatore Chirico, confessarono di essere stati i veri killer di Aversa e Precenzano.
Avevano contratto un debito di 60 milioni di lire per una partita di droga alla cosca Giorgi di San Luca, ed il boss Francesco Giampà, della cosca Giampà-Torcasio, gli ordinò di uccidere il poliziotto e la moglie per azzerare il debito.
Rosetta Cerminara, la ragazza diventata supertestimone dell'assassinio, venne smentita e condannata definitivamente per calunnia e truffa aggravata contro lo Stato. Giampà finì in galera con condanna definitiva, Torcasio trovò la morte sotto i colpi della guerra tra i clan lametini.
Nel corso degli anni la tomba dei due coniugi, che si trova nel cimitero di Castrolibero in provincia di Cosenza, paese natio di Salvatore Aversa, è stata profanata più volte.
Torre Annunziata era invece il paese natio di Lucia Precenzano, “a' Provolera” la zona dove era cresciuta, prima di conoscere Salvatore Aversa e trasferirsi in Calabria per svolgere l'attività di professoressa di applicazioni tecniche alle scuole medie.
Salvatore Aversa aveva a Torre Annunziata diversi amici, tra i quali l'ex consigliere comunale Salvatore Guida, sposato con la signora Virginia Alvino, cugina di Lucia Precenzano.