Il Parlamento ha approvato la legge sull’autonomia differenziata, tanto cara alla Lega di Salvini.
La riforma riguarda ben 23 materie tra cui istruzione, sanità, ambiente, energia, sport, trasporti, commercio estero, cultura. Ma ogni materia ha decine di funzioni e in totale si arriva quasi a 500.
L’operatività della riforma non è cosa immediata e con tutta probabilità non arriverà prima del 2026 perché deve passare dalla definizione di una serie di paletti che, in teoria, dovrebbero evitare alle Regioni meno ricche di non riuscire più a garantire i servizi legati ai diritti civili e sociali. Un percorso che non soddisfa le opposizioni, certe che la riforma leghista del ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli finirà per minare alle fondamenta l’unità del Paese.
E cosi per ora il Pd, Verdi-Sinistra, Italia Viva e i 5 Stelle sono pronti a raccogliere le 500mila firme necessarie per indire il referendum abrogativo.
Ma vediamo cosa prevede l’art. 75 della Costituzione che disciplinare la materia. “È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum”.
Quindi il primo scoglio da superare è il raggiungimento del 50% più uno degli elettori aventi diritto (cosiddetto quorum) che dovranno recarsi alle urne. Il secondo è la maggioranza dei SI' rispetto ai NO di coloro che andranno a votare. Gli elettori delle regioni del Sud dovrebbero votare compatte per il SI'. Quelle del Nord, almeno le più ricche, per il NO. Una sfida Nord contro Sud, la cui vittoria dei SI' creerebbe di sicuro molti problemi al governo Meloni, ma soprattutto alla Lega, che con il ministro Calderoli si è speso molto su questa riforma.