Tornano i riflettori su Rio de Janeiro, che dopo i Giochi olimpici ospita la quindicesima edizione delle Paralimpiadi.
Questa volta i partecipanti sono i veri campioni. Quelli che lottano ogni giorno con le difficoltà della quotidianità e con la loro vita. Gli atleti disabili. Sono 23 le discipline (new entry canoa e triathlon) ed oltre 4.300 atleti disabili provenienti da 176 Paesi. Gli italiani in gara sono 101.
Uno show straordinario che mette in risalto non soltanto le abilità tecnico-sportive degli atleti ma soprattutto la loro immensa volontà di farcela e di combattere contro un disagio che sembra sparire quando si tratta di sport.
In occasione di tale evento, abbiamo raccolto un giudizio da coloro che rappresentano il talento “eccezionale” della nostra città. Due nomi che si incrociano. Due vite unite da forza e capacità fuori dal comune. Il nuotatore Salvatore Cimmino e il giornalista Dario Ricciardi.
«Credo che le Paralimpiadi rappresentino una grandissima opportunità per tutte le persone con diverse abilità - esordisce Dario -. Detesto utilizzare questo termine, lo faccio solo perché è distintivo di persone con difficoltà, non importa di che natura siano. Ma il messaggio che intendo ribadire con forza è che il mondo è di tutti e dobbiamo essere tutti orgogliosi di farne parte. Il mio sogno è una società inclusiva - continua il più giovane giornalista d’Italia - in cui il termine diverso venga letteralmente cancellato e si guardi soprattutto al bene della collettività. Tornando alle Paralimpiadi, sono una grande opportunità per mettere in mostra tutte le nostre potenzialità e per sensibilizzare le più alte autorità mondiali sul fatto che lo Sport deve essere di tutti, ma soprattutto accessibile a tutti. Le persone con diverse abilità, se vogliono, possono rivoluzionare il mondo, come sta cercando di fare il mio carissimo amico Salvatore Cimmino. E’ necessario, però, che questo concetto venga compreso dalle istituzioni. Da soli non possiamo fare nulla. Mi piace ricordare che i primi giochi paralimpici furono organizzati in Italia nel 1960. Dettaglio non trascurabile - conclude Dario -, ma sintomo che la nostra nazione fu la prima a credere in uno Sport di tutti e per tutti».
Un messaggio diretto e sentito quello del giovane Dario. Ogni singola parola è detta con convinzione, con entusiasmo. I suoi occhi pieni di speranza e vitalità si illuminano ancora di più quando mostra, con orgoglio, la foto con il suo amico di sempre, Salvatore Cimmino.
«Manifestazioni come le Paralimpiadi devono essere lette in una chiave diversa - afferma Cimmino -. Lo sport da solo non è in grado di integrare la persona affetta da disabilità. Per questo, ne approfitto per diffondere un messaggio alle istituzioni affinché possano mobilitarsi e rendere accessibile ogni singolo territorio ad ogni individuo. Ho sempre sostenuto - conclude - che il termine “disabile” non esista ma vi è un contesto disabile in cui una persona vive. Garantire il diritto di cittadinanza anche a loro, dunque, diviene modo per arricchire la società di valori aggiunti che solo una persona “diversa” può esprimere».
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