Sono un orgoglioso residente nel quartiere Provolera. Investita dalle trasformazioni tecnologiche e produttive degli ultimi decenni, questa zona della città si è nel tempo impoverita, perdendo via via le botteghe delle attività artigiane, la cantina dove ci si riuniva a consumare cibo popolare e a bere il buon vino locale, la pizzeria di Coppola Rossa, che ricordo frequentatissima nella mia adolescenza per la bontà del suo prodotto, nonché ha visto chiudere di recente anche alcuni sopravvissuti esercizi commerciali indispensabili alla vita quotidiana. È negli anni del resto molto cambiato il tipo di popolazione residente, molte famiglie si sono spostate verso altri quartieri e oggi vi trovano alloggio anche nuclei di stranieri extracomunitari. La crisi del tessuto produttivo tradizionale l’ha vista anche trasformarsi in una piazza di spaccio, richiamo per molti tossicodipendenti anche da paesi vicini.

Con la nuova amministrazione rinascono tuttavia le speranze di uscita dal degrado: la recente “notte bianca” ha qui avuto molto successo e questo dimostra la voglia dei suoi abitanti di voltare pagina. Un’iniziativa di decoro urbano animata da Anna Vitiello aveva già prima, del resto, reso meno tristi antiche mura e vicoli, la spinta del ricostituito comitato di quartiere, presidente Rosaria Langella, (il primo lo costituì mio fratello Enrico, un bravo e generoso pediatra che molti accoglievano nelle loro case per curare i bambini ammalati e tanti ricordano con affetto) sta impegnandosi in quanto necessario per dare corpo alla volontà di rinascere. Ora non è irrealistico pensare ad accogliervi di nuovo botteghe, luoghi di ristoro, servizi per turisti e fondi europei potrebbero esservi investiti ― dopo un idoneo progetto ― per il recupero: personalmente conosco l’esempio vincente di Taranto vecchia.

Come credo che tutti i miei concittadini sappiano (i giovani meno, perché – salvo pochi – in genere scarsamente interessati alla storia e alle tradizioni), la denominazione del quartiere non deriva dal formaggio provolone, ma dall’ospitare l’antica Fabbrica d’Armi, ossia la Polveriera, prima borbonica e poi repubblicana.

Tale una volta, per la verità: nella memoria conservo il suono della sirena che segnava l’inizio della giornata lavorativa per i molti che vi operavano (è stato così per generazioni: i padri si pensionavano e spesso subentravano i figli) e si ripeteva alla fine, per marcarne la conclusione. Oggi armi, con il tipo di conflitti bellici contemporanei, non ve ne si confezionano più e questa sarebbe un’ottima notizia, se significasse che le guerre sono sparite dall’orizzonte dell’umanità. Purtroppo vediamo che non è così, semplicemente quel tipo di lavorazioni che vi si compiva è obsoleto

Negli ultimi anni mi risulta che prima vi si siano convogliati per le riparazioni gli autoveicoli dell’esercito, quindi che vi siano state confezionate mascherine durante il periodo del Covid ed è stato perfino il set di alcune sequenze dello sceneggiato televisivo tratto dal romanzo di Elena FerranteL’amica geniale”. La forza lavoro è ormai di poche unità, ma i particolari potrà precisarli, se vorrà, appunto il proprietario di questa testata, che vi ha svolto tutta la carriera prima del pensionamento.

Dentro lo Spolettificio non sono mai stato, benché una mia compagna di liceo fosse la figlia di uno dei direttori dello stabilimento succedutisi negli anni e fosse amica della mia fidanzata, ma l’esperienza di questa forzata esclusione è comune alla stragrande maggioranza dei miei concittadini. Ne vedo però gli edifici interni e i larghi viali ordinati e ben tenuti dal terrazzo di casa, che vi confina per il lato su via Parini.

Torre ha già assicurato all’uso collettivo Villa Parnaso, che collega il corso Umberto I con la litoranea Marconi e quindi col mare. Credo che sarebbe molto bello e utile se, analogamente, questo polmone di verde e di storia che ne occupa il centro storico potesse essere aperto alla città, a chi vi abita e ai turisti che la visitano, previ opportuni accordi con l’amministrazione pubblica proprietaria dell’area.

In questo caso, il sito sarebbe adiacente a un’altra ricchezza da valorizzare: Madonna ha festeggiato il compleanno a Pompei e qui si è appena celebrato un evento nell’ambito del G7 della Cultura, ma in futuro per manifestazioni del genere potrebbe essere valorizzata la Villa di Poppea, location suggestiva e che in passato ospitò anche spettacoli teatrali e concerti. Il suo rilievo nella vita cittadina sarebbe reso ancora più evidente se si riaprisse il passaggio pedonale, oggi serrato da un cancello, che percorrevo da bambino e da ragazzo e che mette in comunicazione il largo Fabbrica d’Armi e il corso Garibaldi, ‘o vico e San Gennaro, da cui appunto si entra agli scavi di Oplonti da via Sepolcri.

La struttura si dovrebbe inoltre valorizzare come spazio museale degli ori di Oplonti o per altre raccolte (per questo vi è in verità già un accordo di massima tra i ministeri della Cultura e della Difesa) e si dovrebbe anche riaprire e ammodernare, anche per convegni e conferenze, la collegata sala cinematografica su via Eolo: la frequentavo da ragazzo, ma da tanti anni è anch’essa chiusa e nello scriverlo mi accorgo di quanta vita sia per me passata e si trovi ora nel suo ultimo tratto.

Il mio è un sogno, ma, proprio perché di tempo non me ne resta molto, l’urgenza di vederlo almeno avviato a diventare realtà è tanta. Forse – ma mantenendo sempre una sorveglianza attentissima sul luogo – si potrebbero allora, in questa mia (non vorrei dire la parola) utopia, sostituire con cancelli robusti, ma che mostrassero l’interno, anche le spesse mura che non servirebbero più, essendo invece prima necessarie a uno stabilimento militare, facendo così assomigliare tuttora la situazione del quartiere a quella di un pluripremiato film recente, “La zona di interesse”, che racconta la serena vita familiare di una famiglia tedesca. Solo che la famiglia è quella del comandante del campo di concentramento di Auschwiz, la cui moglie e i figli ogni tanto, mentre fanno colazione, si bagnano in una piccola piscina domestica o si trattengono in giardino, con la signora che cura le rose, sentono arrivare da dietro le alte mura confinanti con la villetta le grida dei prigionieri torturati e non vi prestano attenzione, per – non è nemmeno il caso di sottolinearlo – la terribile, quotidiana banalità del male.

(Nella foto, una recente visita nel quartiere Provolera del sindaco Corrado Cuccurullo con la sua giunta)

Salvatore Prisco