Fino a quando Katalina abuserai della pazienza nostra? Fino a quando continuerai cocciutamente a chiedere la cittadinanza italiana, a sperare di potere salire sul ring con la canotta azzurra della “nostra” Nazionale?

Devi smetterla di ritenere che il solo fatto di vivere in questo Paese da quando avevi appena due anni, di pensare, amare, odiare, cantare, perfino piangere in italiano, ti autorizzi a sentirti tale. Ma vogliamo davvero scherzare? Vogliamo davvero negare la peculiarità genetica, cromosomica, somatica, antropometrica e se vuoi perfino tricologica, che legittima la nostra appartenenza rendendola radicalmente lontana dalla tua?

Lascia stare a questo riguardo le bugie della scienza che ritiene impossibile, sotto il profilo biologico, identificare un individuo sulla base di qualsivoglia marcatore genetico e dunque categorizzare l’umanità in «razze». Fandonie di pseudoscienziati prezzolati da chissà quali plutocrati, paccottiglia valida solo per chi si riempie la bocca di parole senza senso come umanità, fratellanza, solidarietà, condivisione.  Le razze esistono e basta! E con esse tutte le differenze che ne discendono.

E poi cosa importa se fai pugilato alla Boxe Vesuviana di Torre Annunziata, in quell’Università della nobile arte che tanta gloria porta a questa ingrata città?  Ritieni, medagliata Kadjia Jaafari, che il solo fatto di macinare le avversarie e conquistare titoli nazionali in progressione algebrica ti autorizzi a qualsiasi richiesta? Mica giochi a calcio, sport italico per eccellenza, tu, benedetta figliola, non insegui un pallone come il futbolista Mateo Retegui,  che in italiano non saprà dire nemmeno “ciao”  ma torna utile alla Patria pallonara?

D’accordo, non solo tiri di boxe, ma insieme a molti tuoi coetanei, studi al de Chirico, frequenti ogni giorno le stesse aule di ragazzi che hanno sogni simili ai tuoi, ascoltano le medesime lezioni, sfogliano gli stessi libri. In molte di quelle nazioni che si dicono progressiste e moderne basterebbe uno solo di questi requisiti per farti ottenere la cittadinanza, ma non da noi, qui da noi non va così. In questo Paese ti toccherà aspettare ancora e poi ancora, e poi, forse chissà…

L’augurio è che Katalina, e come lei tutti quei ragazzi che si sentono italiani e desiderano diventarlo, possano al più presto realizzare le loro legittime aspettative; essere, al contempo, cittadini del mondo e figli di una rinverdita Italia.

Biagio Soffitto