In questi giorni si fa un gran parlare a Torre Annunziata dell’aumento della tassa sui rifiuti (Tari) per l’anno 2018 rispetto alle tariffe applicate nell’anno 2017. Purtroppo non sempre si parla con cognizione di causa e chi è deputato a dare delle spiegazioni in tal senso spesso si rifugia in tecnicismi di difficile comprensione per i non addetti ai lavori.
Allora cercherò di spiegare con parole semplici e comprensibili come stanno le cose. Innanzitutto è risaputo che la Tari è commisurata al costo complessivo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Questo è la sommatoria di più voci: contratto stipulato con la società PrimaVera (6 milioni di euro, rimasto invariato rispetto al 2017), costo di smaltimento rifiuti umidi (in aumento di 30 euro a tonnellata, da 130 a 160 eu/ton), costo di smaltimento rifiuti indifferenziati (invariato), costo di smaltimento di rifiuti ingombranti (in aumento), rata debito ex Oplonti Multiservizi (in aumento). A questi costi va detratto il ricavato del conferimento dei rifiuti differenziati (carta, vetro e plastica), pari per il 2018 a 300mila euro annui e comunque rimasto invariato rispetto all’anno scorso.
Il costo complessivo presunto del servizio di smaltimento rifiuti, quindi, è pari per l’anno in corso a poco oltre i 9 milioni e 500 mila euro, un milione in più rispetto al 2017. C’è però un altro dato che fa contenere, tuttavia, l’aumento della tassa: le entrate derivanti dalla lotta all’evasione. Che quest’anno saranno di meno del 2017 perché oramai si è pienamente raggiunta la percentuale del 90 per cento dei contribuenti censiti. Il 10 per cento di evasione che ancora permane è quasi fisiologico ed è dovuto a diversi fattori (cambi di residenza, morte, indigenza, ecc.).
Fatta questa premessa generale, entriamo ora nel merito della tassa applicata quest’anno. Da un’analisi attenta degli avvisi di pagamento emessi dalla Soget, si può notare che ad essere maggiormente penalizzati sono i nuclei familiari con un solo componente che vivono in abitazioni di oltre 100 metri quadrati (+40 per cento). Il motivo di tale aumento è dipeso dalla variazione del coefficiente della quota fissa della tassa (riferito ai metri quadrati della casa, mentre quella variabile dipende dalla composizione del nucleo familiare). Tale coefficiente ha subito un considerevole balzo in avanti in quanto ritenuto troppo basso negli anni passati.
Per quanto concerne, invece, le abitazioni con nucleo familiare composto da più componenti, per quelle con superfici inferiori a 100 metri quadrati l’aumento è stato abbastanza contenuto (in molti casi si paga anche di meno), mentre per quelle superiori c’è stato un incremento intorno al 5/6 per cento.
Per le attività commerciali, invece, si è fatta una differenziazione tra quelle che producono notevoli quantità di rifiuti e quelle che ne producono poche. Uffici, autosaloni, negozi di abbigliamento, supermercati (questi ultimi producono per lo più involucri di cartone) si sono visti ridurre gli importi da pagare anche in modo consistente, mentre gli ortofrutticoli, i ristoranti, i fiorai - ad esempio - pagheranno qualcosa in più rispetto all’anno scorso.
Un’ultima considerazione. In Campania la Tari è la più alta d’Italia. A Torre Annunziata un nucleo familiare composto da tre persone con un appartamento di 100 metri quadrati paga 395 euro all’anno (al di sotto della media delle cinque province campane - 422 euro). A Napoli ne paga 446, a Salerno 468, a Benevento 460, a Caserta 403, ad Avellino 331. Al Sud si paga molto di più che al Nord, con la punta a Trapani (571 euro), tranne rare eccezioni (Vibo Valentia, 182 euro). Il caro-Tari al Sud si spiega sia con l’insufficiente contrasto all’evasione sia con una gestione non ottimale del ciclo di smaltimento dei rifiuti, per la mancanza degli impianti di compostaggio. E non sempre i Comuni che realizzano un’alta percentuale di raccolta differenziata vedono premiarsi con una tassa più bassa. Molto dipende, infatti, anche dalla qualità dei rifiuti differenziati.
In media in Italia per la Tari si pagano 302 euro all’anno (fonte Cittadinanzattiva), sempre prendendo a riferimento un appartamento di 100 metri quadrati e 3 membri del nucleo familiare (a Belluno il costo minore, 149 euro annui).
Molti Comuni stanno adottando la cosiddetta “tariffa puntuale”, cioè un sistema di calcolo che si basa sul quantitativo di rifiuto prodotto e che premia i comportamenti virtuosi dei cittadini, spingendoli a conferire correttamente i materiali riciclabili e a ridurre al minimo quelli non riciclabili. In sostanza, l’utente paga in proporzione al rifiuto che produce: quindi meno rifiuti indifferenziati produce, meno spende. Il cardine su cui gira la “tariffa puntuale”, almeno secondo quanto stabilito dal D.M. 20 aprile 2017, è quello della misurazione dei rifiuti.
Ma quali sono i metodi più diffusi per “contabilizzare” i rifiuti? In generale viene misurato almeno il rifiuto indifferenziato (il principio generale è “pago per quanto rifiuto indifferenziato produco”) e sono diversi i metodi di misura. Si va dai bidoncini o ai sacchetti completi di chip per il riconoscimento dell’utenza, soprattutto in quei Comuni che hanno la raccolta domiciliare, ai cassonetti con riconoscimento dell’utenza con chiave elettronica dove è presente la raccolta stradale; poi ci sono i sacchetti prepagati con codice a barre, mentre altri Comuni usano un po’ tutte queste soluzioni.
Sembrerebbe un’utopia applicare sui nostri territori il sistema della “tariffa puntuale”. Ma come disse il grande economista giapponese Tsuru Shigeto: «l’utopia, o per meglio dire “la speranza ragionata”, è la molla che spinge a progettare un futuro migliore...».
*già assessore al Bilancio del Comune di Torre Annunziata
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