Oggi, domenica 12 novembre, il Napoli si scuce un altro pezzo di Scudetto dalla maglia, in attesa del verdetto definitivo che, a meno di clamorosi colpi di scena, scaturirà dal posticipo di questa sera a San Siro tra Inter e Frosinone. Gli azzurri perdono ancora una volta al Maradona: solo due vittorie su otto gare disputate nell’impianto di Fuorigrotta.

Questa sconfitta, probabilmente, segna anche la fine dell’avventura di Rudi Garcia sulla panchina dei partenopei. Sarebbe al dir poco disdicevole, nonché deleterio e masochistico se Aurelio De Laurentiis decidesse di proseguire con il tecnico francese. Era già evidente che si fosse giunti al capolinea con l’Union Berlin, quando il Napoli è stato capace di non vincere una gara saldamente nelle sue mani. Si è visto nella totale incapacità di gestire la rosa da parte di Garcia, che oggi se n’è uscito con una formazione senza senso e con dei rimedi a gara in corso che non hanno risolto assolutamente nulla. L’allenatore non ha più in mano la situazione, anzi, forse non ce l’ha mai avuta.

Terza sconfitta casalinga, la più sanguinosa di tutte, altro che assalto alla terza posizione in classifica con il Milan che ha frenato a Lecce. Ora la situazione è gravissima. Alla ripresa del campionato, dopo la sosta per le nazionali, ci saranno Atalanta, Real Madrid, Inter e Juventus. E non è di certo pensabile di affrontare questo ciclo infernale con Rudi Garcia seduto in panchina. Il francese passerà alla storia come tra i peggiori tecnici avuti a Napoli, ed è arrivato il momento di salutarlo e di "rispedirlo" da dove è venuto.

Ma sia chiaro, il principale responsabile di questo disastro non è il “povero” Rudi, bensì chi lo ha scelto la scorsa estate. “L’uomo solo al disastro” si chiama Aurelio De Laurentiis, che raccoglie i frutti degli ultimi sei mesi di presidenza. Il Napoli è arretrato nel familismo più spinto, ispirato dalla politica di un uomo solo al comando, Adl appunto, che ha assunto con il passare del tempo più ruoli: direttore sportivo, mental coach e anche allenatore.

Mesi di monarchia De Laurentiis hanno prodotto una squadra che a novembre ancora non si capisce che cosa sia. E non è questione di nostalgia di Luciano Spalletti. Basterebbe solo capire in quale direzione si sta andando. Con un allenatore pubblicamente delegittimato e commissariato in modi che possiamo considerare ai limiti dell’offensivo e del mortificante (al netto dei 3,2 milioni netti di stipendio). Con i calciatori più importanti, Osimhen, Zielinski e Kvaratskhelia, con situazioni contrattuali precarie. Quarto in campionato, a otto punti dalla vetta (adesso c’è la Juventus) che stasera potrebbero diventare dieci, con la prospettiva tutt’altro che allettante di giocarsi la qualificazione agli ottavi di Champions League all’ultima partita contro i portoghesi del Braga.

Dopo la vittoria del campionato, a De Laurentiis è andato il cosiddetto “gas in testa”, e la ribalta mediatica gli ha fatto perdere di lucidità e pragmatismo. Dopo gli addii di Spalletti e Giuntoli ha voluto lanciare una scommessa: adesso vi dimostrerò che la vittoria dello scudetto è stata tutta, esclusivamente, merito mio. Una scommessa che al momento sta perdendo. Questo disastro richiede l’esonero, ma Garcia paga gli errori e il delirio di onnipotenza di Aurelio De Laurentiis.