Chi lo ha messo in croce per oltre 2 anni definendolo un colluso con la camorra ora dovrebbe farne ammenda e chiedergli scusa per il fango che gli ha buttato addosso.
Parliamo dell’ex sindaco Vincenzo Ascione, sul quale pendeva l’accusa infamante di concorso in associazione mafiosa. Il Gip del Tribunale di Napoli, su richiesta dei Pm Valentina Sincero e Francesca De Renzis, ha deciso di archiviare l’inchiesta, facendo di fatto cadere su di lui, e altri indagati amministratori del Comune di Torre Annunziata (il vicesindaco Luigi Ammendola, gli assessori Gecchi Langella e Luisa Refuto, il presidente del consiglio Rocco Manzo) tutte le accuse mosse nei loro confronti.
Va ricordato che l’ex sindaco aveva avuto a suo carico solo un avviso di garanza, ovvero lo strumento attraverso il quale l’indagato acquisisce cognizione di un procedimento penale a suo carico. L’informazione di garanzia è emessa a tutela dei diritti dell’indagato che può farsi così assistere da un avvocato.
Purtroppo la massiccia strumentalizzazione dell’avviso di garanzia ha fatto sì che da strumento di garanzia si è trasformato in strumento di pregiudizio per l’indagato, attribuendogli lo stesso significato di un provvedimento di condanna del giudice.
E così è iniziato il tiro a piccione di una parte (piccola) dell’opinione pubblica e di certi “giornalisti” (ma a chiamarli così si offende l’intero Ordine), dove la parola garantismo è assente nel loro vocabolario.
Enzo Ascione è stato criminalizzato insieme al suo partito, il Pd, nonostante i Dem avessero preso le distanze da lui ancor prima dello scioglimento.
Una cosa è certa. Oltre all’accusa infamante a suo carico, Ascione ha dovuto subire anche l’onta dello scioglimento anticipato del consiglio comunale. Una fine ingloriosa della sua gestione amministrativa, che rimarrà, al di là dei suoi demeriti, un buco nero nella storia di Torre Annunziata.
Ed è per questo motivo che Ascione è entrato a far parte di un’associazione politico-culturale “Già le mani dai sindaci” presieduta da Angelo Riccardi, ex sindaco di Manfredonia, che si propone di sensibilizzare opinione pubblica e politica nel migliorare la legge sullo scioglimento dei consigli comunali, attualmente disciplinata negli articoli dal 143 al 146 del Testo Unico degli Enti Locali.
«Questa disposizione, così com’è formulata attualmente – viene spiegato dall’Associazione – crea un clima di sfiducia e incertezza che coinvolge anche la parte sana della politica, quella che dovrebbe impegnarsi per il bene comune. La possibilità di sciogliere un comune basandosi su sospetti, denunce o persino pressioni politiche da parte delle forze di opposizione, senza garantire un adeguato processo di difesa, mette in discussione i fondamenti stessi della democrazia. Non possiamo più tollerare l’abuso arbitrario di una normativa che consente lo scioglimento di un Comune su basi così fragili e inconsistenti, se non addirittura inesistenti. Questo non solo mina la democrazia, ma danneggia significativamente le realtà complesse del Sud d’Italia».