Dopo gli anni 1950, 1951, 1952, 1953, 1954, 1955, 1956, 1957 e 1958 lo storico locale, e nostro collaboratore, Antonio Papa, ci racconta i fatti più salienti accaduti nell'anno 1959 a Torre Annunziata.
Il miracolo sui binari
Un miracolo! Non si spiega altrimenti quello che accade in una calda giornata di maggio sui binari della stazione ferroviaria di Torre Annunziata.
Nessuno, neanche i genitori si accorgono che il piccolo Francesco Bruno, di sette anni, si è avvicinato troppo ai binari, intento a giocare con i suoi piccoli amici.
L’arrivo del treno è un presagio dell’ennesima tragedia che prende corpo in una città ricca di stazioni ferroviarie e binari mal custoditi.
Forse la bravura del macchinista che riesce a frenare in tempo riducendo la velocità, oppure il riflesso inconscio del bimbo che si adagia sul binario, magari il fondo del telaio del treno, più alto rispetto a quello dei supersonici treni di oggi, sta di fatto che si avvera un miracolo: Francesco esce quasi completamente illeso da sotto al treno dopo il suo passaggio.
Il fatto viene commentato anche dalla Domenica del Corriere del giugno 1959 (foto sotto), con la notizia in copertina.
La tragedia sui binari
Non hanno avuto la stessa sorte benevole due diciassettenni, Luca e Mario, risucchiati dal treno in corsa mentre costeggiano i binari all’altezza del Lido Azzurro, il 3 agosto.
Dopo l’immediato allarme lanciato dal macchinista vengono ritrovati dopo qualche ora di ricerca, con Luca che è morto sul colpo mentre Mario morirà poco dopo all’ospedale civile di Torre Annunziata.
Purtroppo tante tratte ferroviarie, rattoppate dopo la guerra, sono state abbandonate al loro destino e la mancanza di manutenzione e sicurezza sarà causa di altre tragedie e morti nella nostra città.
Ancora ai giorni nostri possiamo verificare il vergognoso stato di abbandono in cui versano le stazioni ferroviarie dei comuni vesuviani, specialmente nei tratti in cui venne attuata l’ultima dismissione.
L’arte di Raffaele Carotenuto
Restando nel mondo ferroviario, ci piace ricordare la storia di Raffaele Carotenuto, capostazione nella nostra città con l’hobby della pittura “innovativa”. Essa consiste nel “dipingere” i suoi quadri non con la normale pittura, ma con la polvere di pietre di diversi colori, raccolte in Italia e all’estero, e frantumate sui binari al passaggio del treno!
Un suo lavoro raffigurante il presidente americano Eisenhower gli vale l’invito per un viaggio in negli USA, ospite alla Casa Bianca.
Amedeo Maiuri ed Oplonti
Mentre continua il dibattito e le iniziative di Mons. Salvatore Farro, Franz Formisano e gli appassionati dell’archeologia locale, mirate alla riscoperta della vecchia Oplonti, un articolo scritto da Amedeo Maiuri (nella foto sotto) e pubblicato sul Corriere della Sera, getta delle ombre sulla bontà delle aspirazioni dei torresi.
Secondo il Maiuri, questa ossessione dei torresi è alimentata dall’invidia verso i pompeiani e gli stabiesi che vedono rifiorire dal fertile terreno i loro gioielli, e “vogliono partecipare anch’essi al banchetto dell’archeologia vesuviana”. Proprio a seguito di questa mania di grandezza, continua il Maiuri, “si è bandita una crociata, s’è formato un comitato, s’è mobilitata la stampa cittadina e napoletana…”.
Forte la critica e il fastidio verso Mons. Farro nella dichiarazione successiva, quando il Maiuri ci informa che “l’archeologia torrese ha ritrovato in un reverendo archeologo, un apostolo fervente e pugnace capace di lanciare appelli e rampogne all’archeologia ufficiale, e di tenere conferenze che hanno l’aria di pubblici comizi”.
Continuando nel suo articolo, alquanto critico verso gli ambiziosi sognatori torresi, Maiuri racconta il percorso storico e ricorda i pochi ritrovamenti avvenuti in zona, arrivando a commentare il breve periodo in cui venne idolatrato Gioacchino Murat per la sua protezione e il suo ringraziamento alla cittadina oplontina per aver scelto, a suo tempo, la denominazione di Gioacchinopoli. E non esita a rinfacciare ai torresi il rapido cambiamento di denominazione, quando “finito tragicamente il sogno ambizioso, non si pensò due volte a ribattezzare santamente la città”.
Nell’ultimo tratto fornisce una sua visione sul perché di questa scelta “archeologa” dei cittadini torresi, quando scrive “ambiscono ad avere anch’essi un titolo nobiliare: di riattaccarsi alla loro origine antica, all’Oplonti ancora misteriosa e sepolta”.
La storia, qualche anno dopo, darà ragione ai nostri illustri concittadini con la scoperta della Villa di Poppea e dei reperti di assoluto valore storico.
Il ricordo di Giancarlo Siani
Giancarlo Siani nasce a Napoli il 19 settembre 1959.
Scrive i suoi primi articoli su Il lavoro nel Sud, poi diventa corrispondente da Torre Annunziata per Il Mattino, occupandosi prevalentemente di cronaca nera.
Gli articoli, le inchieste, le denunce del giovane cronista sono lo specchio di quello che succede in una città, in cui l’intreccio malavitoso tra la camorra e la politica ha raggiunto il massimo livello d’allerta.
Dopo l’articolo pubblicato il 10 giugno 1985, in cui Giancarlo scrive che l’arresto di Gionta è stato attuato grazie a una “soffiata” del clan Nuvoletta per riappacificarsi con il clan Bardellino, la decisione dei clan di ucciderlo.
Giancarlo Siani verrà assassinato il 23 settembre 1985.
A Giancarlo saranno intitolate diverse scuole in Italia, strade, murales, cortometraggi, film, teatri, la sala stampa della giunta di Ferrara, l’Aula Magna del Liceo Classico “Giambattista Vico”, da lui frequentato, il presidio di “Libera” di Pisa, la rivista “Narcomafie” e il giornale d’informazione “Libera”. A Torre Annunziata gli viene intitolata l’Aula di Consiglio Comunale, la scuola del 2° Circolo didattico e un’Aula di giustizia del Tribunale oplontino.
Il titolo di giornalista professionista gli sarà stato riconosciuto ad honorem dall’Ordine dei Giornalisti in occasione del 35° anniversario della sua morte, e consegnato ai familiari a Napoli.