Domenica di agosto, 1984. Una domenica come le altre, era il 26. Faceva caldo, non ero andato al mare, lo facevo molto raramente.
Come era solito, la domenica mattina verso le dieci, mi ero recato al mio punto di riferimento, il "Club dei Fedelissimi", covo della tifoseria organizzata del Savoia. Ero solito portarmi giornalmente in quel circolo, situato nel bel mezzo di corso Garibaldi, più comunemente detto "vico di San Gennaro".
Andava ad iniziare la stagione calcistica del campionato Interregionale ed essendo le formazioni ancora in fase di rodaggio, si preparavano le prime partite valevoli per la Coppa Italia. Erano questi momenti importanti, si organizzavano le trasferte, non sempre in posti vicini.
Dopo aver trascorso gran parte della mattinata a discutere dei dettagli sul come affrontare la gara prevista in settimana, accadde un fatto curioso che, come scoprimmo poco dopo, avrebbe inciso profondamente nella storia di questa Torre Annunziata.
Da poco avevano suonato le campane per annunciare mezzogiorno. Da un'auto in corsa, il rumore di un clacson, suonato in modo incessante, "avvisava" che si stava trasportando un ferito al pronto soccorso dell'ospedale Civico, sito in piazza Cesaro, "miez' Santa Teresa".
In un primo momento ci sembrò anche abbastanza normale. Era solito il trasporto di feriti, o presunti tali, presso il nosocomio torrese da parte di automobili che procedevano in senso opposto alla normale direzione di marcia, provenendo dalla zona sud del corso principale, Corso Vittorio Veneto, verso la zona nord.
Pensammo a qualche pedone investito, oppure un bagnante che si era sentito male. Magari un malore per il caldo torrido. L'auto che trasportava il ferito, una "112" di colore rosso, era guidata da un comune conoscente.
Dal "vico San Gennaro", dove era raggruppato il nostro gruppo di amici, la vedemmo sfrecciare a tutta velocità.
Non eravamo ancora consci di quello che era successo pochi attimi prima, a duecento metri di distanza.
Restammo ancora lì, tra di noi, a parlare di pallone, giocatori e squadra.
Passarono 3, 4 minuti, non di più, e ancora il clacson dell'auto che era salita verso l'ospedale, ma questa volta scendeva giù per il Corso, ci ripassava davanti. Ancora un paio di minuti ed eccola di nuovo ripassare nella folle corsa verso l'ospedale, con altri feriti a bordo.
Mi sembrò, questa volta, che a bordo vi erano due o addirittura tre i feriti.
A questo punto, dopo che erano passati non più di dieci minuti dall'accaduto, incominciò a spargersi la voce che c'era stata una sparatoria in via Roma, con diversi morti e feriti.
Sorpresi per la gravità delle prime testimonianze che giungevano, frettolose e incerte in verità, assieme a miei due amici decidemmo, con un poco di timore, di andare a vedere cosa fosse successo e ci incamminammo da piazza Cesare Battisti, “miez à Croce”, per portarci verso la Chiesa di San Francesco in via Roma.
Arrivammo con molta difficoltà all'altezza di via Bertone, mentre il fuggi fuggi generale continuava ormai da diversi minuti. Fummo bloccati da macchine della polizia che nel frattempo stavano intervenendo dalla sede del loro Commissariato in corso Umberto, sulla scia di quella "112" che per prima aveva portato aiuto ai feriti della sparatoria.
Solo allora iniziammo a intuire la drammaticità dell'accaduto. Alcune persone, proveniente dalla parte di via Roma, dove si presumeva che ci fosse stata la sparatoria, parlavano di diversi morti e di altrettanti feriti che erano ancora in attesa dei soccorsi.
Restammo circa dieci minuti bloccati in quella posizione, poi, decidemmo di aggirare la Chiesa di San Francesco, per andare dal lato opposto, per portarci all'altezza di via Filippini. Anche da quella posizione era impossibile andare avanti, verso la zona designata.
Le auto della polizia erano ormai divenute numerose e tutto il luogo della tremenda sparatoria era stato isolato. Tentammo di spingerci ancora qualche metro avanti, nella confusione e la paura che regnava tra i presenti, che ormai avevano formato un cordone quasi invalicabile in quella zona.
Finalmente ci riuscimmo, arrivammo all'altezza della trattoria del "Purtuallaro". Nella concitazione degli spostamenti organizzati dalle forze dell'ordine, vedemmo il corpo di un uomo a terra. E vedevamo di fronte, a cinquanta metri, il "Circolo Pescatori".
C’erano diverse le persone ammazzate dentro il Circolo.
Non avemmo il coraggio di restare oltre, e anche per tranquillizzare le famiglie, assieme ai miei due amici decidemmo di rientrare alle nostre rispettive abitazioni. Arrivati a casa, non si parlava d'altro. Il tempo di accendere il televisore e collocarsi sul primo canale all'ascolto del telegiornale delle 13,30. Prima notizia: "Terrore e morte a Torre Annunziata". Il resto lo sapete tutti. La festa in chiesa, il pullman, le armi, i morti, le cause, gli arresti, i mandanti.
Questa la cronaca di quello che ricordo di una giornata che rimarrà indelebile per Torre Annunziata. Altre parole, fiumi di parole, fummo costretti ad ascoltare e leggere per giorni e giorni a seguire. Camorra, bande, mattanza, droga. Torre Annunziata divenne improvvisamente il male d'Italia. Scrittori, editorialisti, attori e registi, politici. Ognuno di loro aveva la spiegazione per quello che era successo ed una ricetta per risolvere il problema. E ogni giorno ero costretto a leggere la lezione che ognuno di loro aveva da dare a me e ai miei concittadini, come se i problemi della mancanza di lavoro "legale", cioè retribuito e corrisposto alla stregua di una regolare busta paga come accadeva nel Nord Italia e in tutti i paesi civili, fosse solo un problema nostro e non dell'intero Meridione!
E come parlavano bene riguardo alla devianza giovanile verso le bande camorristiche. Non sapevano che, in alternativa ad un regolare lavoro, i giovani erano spinti ad accettare compromessi che avrebbero influiti negativamente sul loro comportamento?
Furono giorni, mesi, anni terribili, soprattutto psicologicamente. Ancora una volta, più di altre volte, la mia città venne violentata e marchiata in modo quasi indelebile. Ad affossarla completamente, l'anno successivo, l'omicidio di Giancarlo Siani. Quel dolore atroce, tanti di noi, quelli della mia generazione, lo hanno portato dentro, per tanto tempo, specie quando molti di loro decisero di andare via e di non combattere una guerra che sembrava senza speranza di vittoria.
Allora, fummo in tanti ad arrenderci. Forse avremmo potuto fare di più.
Passarono pochi anni e si iniziò a fare pulizia, soprattutto a livello giudiziario con gli arresti eccellenti. Nonostante l'impegno e la volontà comune di ristabilire una condizione di vivibilità accettabile che ha accomunato l'asse tra la politica e i cittadini negli ultimi due decenni, la data del 26 agosto 1984 resterà impressa ancora a lungo nella memoria dei torresi.