«Sono passati dieci anni dal quel maledetto istante, dallo sguardo fisso di mio marito Peppe che lasciava questa terra nel modo più ingiusto e orribile». Carmela Sermino si racconta e ci racconta la sua storia. Una testimonianza che, inevitabilmente, ci riporta indietro di dieci anni. Un passato che è maledettamente presente.
Era il 31 dicembre 2007. Giuseppe Veropalumbo, giovane marito e padre 30enne, sedeva a tavola con la sua piccola Ludovica di appena 14 mesi. Giuseppe, come tutti, aspettava con gioia l’arrivo del nuovo anno, un 2008 che però non ha mai visto l’alba.
Colpito da un proiettile vagante, morto per mano di un folle nell’abitazione di via Cuparella a Torre Annunziata. Carmela, una donna che sperava nel futuro della sua famiglia, una mamma che voleva crescere sua figlia insieme al suo compagno, si trova improvvisamente a piangere l’uomo della sua vita e a dover fare da madre e padre alla sua bambina.
«Ludovica è dovuta crescere senza l’affetto del padre - dice Carmela -, senza poter mai pronunciare la parola "papà". Ogni anno legge a me la sua letterina in occasione della festa del papà. Le ho raccontato da subito la tragica sorte del suo amato padre. E’ stato davvero difficile. Non avevo più una persona su cui contare, non ho potuto scambiare un'opinione sulla crescita o sull’educazione di una figlia, ero sola. Si è sempre soli in queste circostanze. Sei sola, tu e la tua mente. Da giovane sposa a vedova. Sogni spezzati. Momenti di sconforto, di buio assoluto, di incertezza per un domani in cui mi vedevo sola, senza lavoro e con una bambina da crescere. Forse l'amore di mio marito Peppe, da Lassù, il sentimento di protezione nei confronti di mia figlia Ludovica, mi hanno dato la forza di rialzare la testa e combattere».
E ha combattuto Carmela. In questi dieci anni ha mantenuto sempre vivi il ricordo e il nome di suo marito. «Peppe è stato ucciso da un camorrista senza scrupoli che quella sera, sparando contro la nostra abitazione, attentò alla vita di ogni persona onesta di Torre Annunziata e non solo di Peppe. Da allora ho iniziato la mia battaglia per la giustizia e la legalità, forte dei valori che la mia famiglia mi ha inculcato e che la cinica logica di camorra ha tentato, vanamente, di distruggere».
L’impegno di Carmela si manifesta sin da subito: «Ho affrontato la mia nuova realtà portando avanti la testimonianza di ciò che mi è accaduto affinché non ci fossero altre lacrime da asciugare».
Dopo la tragedia, Carmela lascia Torre Annunziata e si trasferisce ad Acerra. La sua diventa una storia che fa ben presto notizia. In tanti vogliono aiutarla. Inizia a lavorare al Trianon chiamata da Nino D’Angelo, direttore artistico del famoso teatro napoletano. Diventa anche assessore allo Sviluppo del territorio e alla Giustizia sociale della III Municipalità di Napoli. La sua “missione” viene rafforzata dall’incontro con i familiari di Genny Cesarano, 17enne ucciso per errore a Napoli, che hanno dato vita all’associazione “Un Popolo in Cammino”.
Poi l’incontro con l’allora sindaco della città oplontina, Giosuè Starita. L’Amministrazione le è vicina e, nel tempo, Carmela diventa un simbolo del riscatto sociale di una intera comunità. Le viene affidata la presidenza dell’Osservatorio comunale per la Legalità ed ottiene l’utilizzo di un bene confiscato alla camorra. Nell’appartamento di via Vittorio Veneto, 390, che un tempo apparteneva al boss Aldo Agretti, viene inaugurata la sede dell’associazione Giuseppe Veropalumbo. E’ il 19 dicembre 2017.
«Porteremo avanti progetti di legalità e socializzazione soprattutto tra i minori a rischio - spiega Carmela -, collaborando con scuole e Istituzioni. Stiamo allestendo una biblioteca e faccio appello ai cittadini affinché donino libri. In più, è possibile sostenere le iniziative sottoscrivendo una tessera associativa. Siamo all’inizio ma la mia vita mi ha portato a credere fermamente nella possibilità di realizzare anche le cose più impensabili».
Ha grinta Carmela, crede nel cambiamento della sua terra, quella stessa terra che le ha tolto tutto. Confida nelle Istituzioni, nonostante non le sia stato ancora riconosciuto lo status di familiare di vittima innocenti di camorra. «Le Istituzioni devono fare di più - afferma decisa -. Assistere le famiglie delle vittime innocenti di camorra che a volte restano senza alcun sostentamento e impelagate in lunghi processi dall'esito incredibilmente mai scontato. La solidarietà si esprime concretamente non a chiacchiere e comizi. Un principio, questo, che le autorità dovrebbero avere bene in mente sempre. Noi lottiamo ogni giorno per sopravvivere onestamente, per onorare la memoria dei nostri cari. E’ giunto il momento di dare un senso a questi sforzi immani, di rendere concrete le promesse paventate da importanti Autorità dello Stato».
Lo sguardo di Carmela durante l’intervista sembra lo stesso di quello di dieci anni fa. Quando per la prima volta raccontò la sua tragedia. Ma in quegli occhi si intravede la speranza e la forza di non mollare in nome di quell’amore perduto e per la sua amata figlia. Ed è proprio in quel preciso momento che il volto di Carmela si illumina e accenna dei sorrisi, quando le chiediamo di Ludovica. «Ludovica frequenta l'accademia di danza ed è anche brava. Ogni anno affronta esami con i grandi nomi di questa disciplina. Supera brillantemente ogni saggio. In prima fila ci sono sempre io, e anche se quel posto accanto a me è vuoto, lei, come me, avverte la presenza di Peppe. Ludovica mi segue alle manifestazioni e alle iniziative a cui prendo parte. È orgogliosa di me come io lo sono di lei. E ogni volta che si complimenta con me o mi sorride io dico a me stessa: “brava Carmela”».
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