Definirli una generazione di fenomeni sarebbe stato ingiustificato anche se avessero battuto la Macedonia come al Tennis Club, ma pensare ora all’Italia e ai suoi titolari come a una squadra di terza fascia nel ranking mondiale del calcio sarebbe altrettanto ingiusto. Ecco perché diventa fondamentale non solo il risultato, ma soprattutto l’atteggiamento che la nazionale di Ventura terrà questa sera sul campo di Scutari contro l’Albania. Chi esaminerà le nostre ambizioni ci conosce bene: sulla panchina albanese, dopo De Biasi è arrivato Panucci, attento commentatore del campionato che produce questa formazione. Sa che non giocheranno undici fuoriclasse, e neppure undici dilettanti; ha vissuto anche lui i nostri eccessi: o supercampioni o brocchi, senza vie di mezzo.
Un motivo in più per rispettarci e per temerci il giusto: la serie A è ancora uno dei primi quattro tornei europei per valore dei suoi protagonisti. Anche se venerdì gli azzurri visti a Torino sembravano pupazzi imbambolati. Con queste esagerazioni dobbiamo convivere: per i calciatori non deve essere facile, per rendersene conto basta assumere a paradigma le sofferenze di Buffon, il padre saggio del pallone italiano che non avrebbe mai pronosticato di dover chiudere carriera e percorso nazionale pascolando in questi stati d’animo così prossimi alla depressione. Lui che con la maglia da portiere numero 1 d’Italia ha toccato il massimo: campione del mondo 2006, nell’anno più buio per la Juventus e per lo sport più amato dai nostri connazionali. Fu un eccesso magico, quello dell’estate di undici anni fa fu un incantesimo.
Questo è più vicino a un maleficio: vedere Insigne, Immobile e Chiellini trovarsi al buio come in occasione del primo gol alla Macedonia e poi assistere per il resto della partita a una manifestazione diffusa di impotenza italiana contro avversari per nulla irresistibili è stata una sofferenza indicibile. L’incubo non è finito, durerà fino all'ottenimento della qualificazione per la fase finale dei prossimi mondiali in Russia. Arrivare a quell'appuntamento avendo cancellato il buio torinese è indispensabile per un’intera generazione. Non di fenomeni, ma neppure di capre.
* già direttore di Sky Sport