Quei pugni li abbiamo ancora impressi addosso, negli occhi, nel cuore, nella mente.
E fanno male, tanto male. Sul ring non c'era solo Irma Testa, ma tutti noi, torresi e non. Il teleschermo si è magicamente trasformato in un ring sul quale scaricare tutta l'adrenalina, mista a rabbia e tantissima tensione.
Ogni volta che Irma incassava un colpo, lo incassavamo anche noi, ogni volta che ne piazzava uno, c'erano dentro i nostri muscoli.
Abbiamo sudato e sognato tutti insieme, idealmente abbracciati, uniti nel suo nome, uniti in un solo grido: “Vai farfalla! Vola e facci volare”.
Forse neppure per il calcio ci siamo emozionati così, perché Irma la conosciamo bene, anzi benissimo e le vogliamo tanto bene.
È un po' come se fosse la sorella di tutti noi. Quelle lacrime, simbolo di un incantesimo infranto, un sogno svanito troppo in fretta, sono arrivate dritte al cuore.
Avremmo voluto essere lì, per stringerla al nostro petto ed avvolgerla in un abbraccio senza fine ma dovremo accontentarci di un messaggio. Non è la stessa cosa, ma va bene ugualmente.
Qualsiasi strada è buona per farle sentire l'affetto, la vicinanza. Poco importa la sentenza spietata del ring: 4-0 per la campionessa del mondo, la francese Mossely, 24 anni e molta più esperienza nel suo bagaglio.
Per noi la medaglia al collo Irma ce l'ha comunque, perché vederla sul ring olimpico è stata la vittoria più grande.
Per ora, ma la storia ricomincia: noi saremo con lei sul prossimo ring.
L'obiettivo è già fissato, abbiamo quattro anni di tempo per raggiungerlo. Assolutamente vietato arrendersi.
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