Ogni occasione è buona per far riemergere nuovi tesori e proporre nuovi itinerari nel Parco archeologico di Pompei. Questa volta la ristrutturazione di edifici del quartiere di San Paolino (interno al Parco) ha messo in moto indagini archeologiche presso la necropoli di Porta Stabia che hanno fatto scoprire nuovi elementi utili a comprendere la complessa articolazione spaziale di quest’area di Pompei, che presto sarà restituita alla pubblica fruizione.
Lungo la via Stabiana, fuori dalla porta che ha lo stesso nome, è stata portata alla luce la tomba monumentale attribuita a Gnaeus Alleius Nigidius Maius, sulla quale sono stati avviati alla fine del 2017 interventi di restauro, insieme a due altri monumenti funebri composti da tombe a camera ubicate in uno spazio delimitato da un marciapiede e da muretto in opera reticolata parzialmente rivestito di intonaco.
Le attività di scavo iniziate di recente sono state finalizzate a rimettere in luce e a ricostruire lo stato originario del percorso stradale che ha restituito una grande quantità di reperti ceramici e in vetro come unguentari e pedine ma anche un anello d’oro con teste di serpente affrontate e con occhi in pasta vitrea.
Una struttura muraria non finita, di forma sub-quadrata nella vicinanza delle due tombe, ne fanno supporre una terza tomba rimasta incompleta a causa dell’abbandono del cantiere. Una delle due tombe è di forma rettangolare, costituita da due filari di blocchi parallelepipedi di calcare bianco con l’interno, intonacato e la presenza su tre lati nicchie di forma rettangolare, mentre sul quarto si accede alla camera. Nel corso del restauro della camera sepolcrale si scoprì che solo quattro delle nove urne fittili murate nelle due banchine lungo i lati della camera erano state svuotate, nel corso delle esplorazioni ottocentesche, private del rivestimento calcareo della parte superiore della tomba mentre sono state sottratte le urne di vetro nelle nicchie.
Altre cinque urne non risultano svuotate, tra le quali due hanno restituito le ceneri dei defunti, mentre altre due contenevano i resti dell’ustrinum (rogo funebre) quali balsamari in vetro deformati dal calore, e in un caso una moneta in segno di obolocarontis.
Alcune urne conservavano ancora il coperchio ma in posizione capovolta. Sul pavimento in cocciopesto è stato ritrovato anche un condotto fittile per le libagioni in onore dei defunti che avevano luogo durante le varie festività. L’altra tomba presenta una struttura di forma quasi quadrata costituita da un alto basamento di blocchi parallelepipedi in tufo grigio uniti tra loro da grappe metalliche (almeno sul lato settentrionale), su cui poggiava la copertura, costituita da una serie di piccoli gradini di terra, pietre laviche, schegge di calcare e malta, di cui quello inferiore era ricoperto da lastrine rettangolari di marmo bianco, alcune delle quali ancora conservate in situ.
All’interno della camera sepolcrale vi sono delle nicchie ricavate sui tre lati del muro in laterizio. Al momento dello scavo condotto nel 2001 si rinvennero due urne cinerarie in vetro con coperchio; la tomba conteneva inoltre due colombe in vetro soffiato e una brocca di piccole dimensioni. L'accesso alla tomba è posto sul lato meridionale ed è chiuso da una porta in calcare sulla quale sono leggibili due tituli picti (iscrizioni dipinte). La porta presenta all’esterno un anello in ferro e un sistema di chiusura sulla parte interna in bronzo, e cardini in bronzo. La porta era chiusa al momento dello scavo ed è stata aperta durante il restauro, mostrando il perfetto funzionamento, a 2000 anni di distanza, del sistema di chiusura romano.
Sulla parte superiore della porta è presente un’iscrizione, un titulus pictus, che riporta: “Iarinus Expectato / ambaliter unique sal(utem) / Habito sal(utem)” (“Iarinus saluta Expectato, amico per sempre; saluti a Habito”). Sopra il nome di Habito è stato disegnato un fallo.