Nutrizione, attività fisica, salute cognitiva e benessere emotivo. Sono i tre pilastri della longevità che si poggiano sul basamento fondamentale della medicina e della ricerca scientifica. E’ con questo approccio che il prof. Ennio Tasciotti, ordinario di Tecnologie Avanzate per Benessere e Invecchiamento all’Università San Raffaele di Roma e Direttore dello Human Longevity Program dell’IRCCS San Raffaele di Roma porta avanti la sua attività scientifica.
Professore, quando una vita si può definire longeva?
«Essere longevi già porta in sé un valore positivo, perché significa che si vive di più della media di riferimento in termini di quantità di anni. Ma la quantità non basta, soprattutto se viene a mancare la qualità di vita. Non basta vivere più a lungo, bisogna vivere meglio e per farlo bisogna imparare a proteggere la nostra salute a 360°, corpo e mente. Sui social o comunque nel dibattito pubblico, spesso il concetto di invecchiare bene è ridotto all’aspetto estetico, “la scoperta della pillolina anti-rughe”. Ci dobbiamo invece preoccupare dello stato di salute del cervello e impegnarci per continuare a farlo funzionare bene. Per questo la ricerca del mio laboratorio è incentrata sul cervello e sulle malattie neurodegenerative perché un corpo in salute senza un cervello lucido non è longevo».
In che modo si può migliorare la salute del cervello?
«Per la salute cognitiva, bisogna cominciare a trattare il cervello come qualunque altro organo e tessuto del corpo. Facciamo bene ad andare palestra per allenare i muscoli, ma non dobbiamo dimenticarci di allenare il cervello, che va stimolato ed esercitato proprio come un muscolo. Per farlo ci si può dedicare a un nuovo hobby, imparare una nuova lingua o a suonare uno strumento musicale, ma anche più semplicemente, migliorando i rapporti interpersonali e la vita di relazione. Cito quest’ultima in particolare, facendo riferimento a un’importante scoperta emersa da uno studio epidemiologico dell’Università di Harvard durato ben 80 anni. I ricercatori hanno mappato quanto la depressione e la solitudine o la gioia e l’integrazione sociale avessero correlazione con l’invecchiamento e la qualità di vita. I dati sono chiarissimi: nessuno di coloro che raggiungeva un’età avanzata viveva in solitudine o era triste, suggerendo quindi che gioia e attività sociali avessero un’azione protettiva, mentre solitudine e depressione un impatto negativo quanto fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Il cervello insomma ha un ruolo determinante nell’invecchiamento».
Qual è oggi la frontiera della ricerca in questo ambito?
«Cercare di tenere sotto controllo tutti i processi infiammatori e ossidativi che sono legati all’invecchiamento di qualunque tessuto e organismo. E’ inutile riparare qualcosa che abbiamo rotto, se possiamo evitare che si rompa! L’obiettivo è prevenire i danni biologici alla fonte, anziché intervenire dopo che si sono manifestati. Per farlo bisogna tenere sotto controllo, sia l’infiammazione che lo stress ossidativo. Mangiare male, avere abitudini di vita sedentaria, per esempio, aumentano l’infiammazione e lo stress ossidativo sul corpo, due fattori che nel tempo ci portano a malattia e disabilità. Grazie ai nuovi approcci della medicina della longevità possiamo monitorare e modulare queste risposte in modo più efficace. Oggi, in laboratorio, stiamo sviluppando nanoparticelle intelligenti capaci di rilasciare molecole con azione antinfiammatoria mirata e di modulare la risposta immunitaria in modo preciso ed efficace, aprendo nuove prospettive per la prevenzione e il trattamento delle patologie dell’invecchiamento».
Perché in media la vita delle donne è più lunga rispetto a quella degli uomini?
«Secondo le teorie evoluzionistiche le donne “servono” più degli uomini per garantire la sopravvivenza della prole, motivo per cui devono restare in buona salute più a lungo dei maschi. La medicina invece suggerisce che la durata della vita media della donna (85,2 anni contro gli 81,1 degli uomini), si debba in parte agli estrogeni che proteggono da molte malattie, e dal miglior funzionamento del sistema immunitario femminile che protegge meglio di quello degli uomini, permettendo quindi alle donne di affrontare meglio le sfide a cui il corpo è esposto. Negli ultimi anni sta emergendo una nuova ipotesi che propone che alcuni valori più spiccati nel femminile come la gentilezza, l’empatia, la capacità di prendersi cura possano essere protettive. Le emozioni nel corpo sono tradotte in messaggeri chimici, hanno un impatto fisiologico. Così, questi sentimenti che sono più legati all’ossitocina, agli ormoni del benessere, hanno un’attività protettiva più spiccata nelle donne».
Arriveremo a vivere sempre più a lungo? La longevità è un trend in costante aumento da molti anni, ci sono segnali che fanno temere per un’inversione di tendenza?
«Molti ritengono che grazie alle nuove conoscenze mediche e ai progressi tecnologici degli ultimi anni, arriveremo a vivere fino a 100 anni e oltre. Io invece, ho il timore che la nostra generazione possa essere la prima che vivrà meno dei propri genitori. Ci potrebbe essere un’inversione di questo trend di allungamento che registriamo dall’inizio della storia umana.
Stiamo assistendo a un’anticipazione delle malattie croniche rispetto alle generazioni precedenti. Obesità, diabete, tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative, che iniziavano prima attorno ai 60-70 anni, insorgono sempre prima, anche in età giovanile. L’esposizione a sostanze inquinanti, la sedentarietà, lo stress cronico e un’alimentazione ultra processata hanno modificato il nostro metabolismo e alterato il microbiota intestinale, influenzando negativamente il nostro stato di salute. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che fattori ambientali e stili di vita errati stiano addirittura accelerando i processi di invecchiamento a livello epigenetico, trasmettendo un’eredità biologica più fragile alle nuove generazioni.
Quali sono le cause di questo peggioramento?
«Siamo esposti a un contesto ambientale molto peggiore rispetto a quello dei nostri genitori e dei nostri nonni; questo comporta una perdita di qualità di vita ed è quindi fondamentale correre ai ripari proprio per la nostra generazione».
Ricordiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità pone la qualità dell’aria come prima causa di morte al mondo. Aggiungiamo che oltre ad aver inquinato l’aria, abbiamo inquinato un’altra risorsa fondamentale per la vita: l’acqua. E quella che beviamo oggi non è più pura come un tempo, perché ormai è inevitabile la contaminazione da metalli pesanti, arsenico, nano e microplastiche, residui di pesticidi e altri contaminanti chimici. Gli effetti dell’esposizione cronica a queste sostanze sono praticamente sconosciuti, ma alcuni studi indicano un possibile legame con disturbi endocrini, alterazioni del sistema immunitario, infiammazione e persino un’accelerazione dei processi di invecchiamento cellulare.
Alcuni consigli concreti?
«L’ambito domestico è quello nel quale ci “avveleniamo” di più senza rendercene conto. La qualità dell’aria dentro casa è mediamente peggiore rispetto a quella fuori, e abbiamo parlato della scarsa qualità dell’acqua. Iniziamo a preoccuparci quindi dell’aria che respiriamo e dell’acqua che beviamo a casa. Un primo suggerimento è quello di filtrare sia l’aria e sia l’acqua e oggi ci sono tecnologie che permettono di abbattere i rischi di contaminazione di entrambe. Un altro suggerimento riguarda l’alimentazione: basta mangiare cibi processati. Bisognerebbe ritornare a mangiare cibi cucinati quanto più possibile a partire da materie prime di qualità, e puntando sulla varietà (cereali integrali, legumi, verdure di stagione). Mangiare le stesse cose è un incubo per la salute gastrointestinale».