San Gennaro anche quest’anno non si è fatto attendere, alle ore 10:02 il sangue si è sciolto. Tutta la città partenopea ha atteso lo “straordinario” miracolo adattandosi alle norme anti Covid-19.
San Gennaro e Napoli, una combinazione inscindibile di fede, storia e tradizione. Un culto, derivante da antica tradizione pagana, nato per proteggere Napoli dal Vesuvio.
Il patrono della città, legato a vari territori campani, è uno dei più venerati al mondo.
Il miracolo della liquefazione è atteso in tre periodi dell’anno: il 19 settembre, data del suo martirio, il 16 dicembre, che ricorda l'eruzione del Vesuvio 1631 e la lava fermatasi dopo l’invocazione e il trasporto della statua del Santo al ponte della Maddalena e durante il primo sabato del mese di maggio, giorno in cui il busto di San Gennaro e le ampolle contenenti il sangue del Martire vengono portati in processione dal Duomo alla Basilica di Santa Chiara in piazza del Gesù. La processione di maggio è detta anche “processione degli infrascati”, il clero partecipante è solito proteggersi dal sole coprendosi il capo con corone di fiori.
Tutto ciò che sappiamo sulla vita di San Gennaro deriva da: “Atti Bolognesi”, del VI secolo d.C., “Atti Vaticani”, del VIII-XI secolo d.C., “Calendario Cartaginese”, del 505 d.C., “Martirologio Geronimiano”, del V secolo d.C., “Menologio di Basilio II”, del 985 d.C.
Il Santo, dapprima martire, fu fatto uccidere dall'imperatore Diocleziano, cruento persecutore dei Cristiani. Una storia che parte in quel di Benevento intorno all’anno 272 d.C., città di cui fu vescovo.
I primi miracoli di San Gennaro, si racconta, che siano avvenuti quando il Santo era ancora in vita. Il primo avvenne quando fu arrestato sulla strada per Pozzuoli, dall’allora governatore della Campania, Dragonzio, e condannato assiema ai suoi compagni di viaggio ad essere sbranati dai leoni nell’anfiteatro di Pozzuoli ma quando le bestie furono al cospetto dell’uomo divennero mansuete come agnellini.
Il secondo miracolo si verificò presso Nola dove fu condannato ad essere arso vivo in una fornace ma anche allora le fiamme della fornace si rivoltarono contro gli oppressori lasciando indenne il Santo. Allora Dragonzio ordinò che i cristiani fossero decapitati nei pressi della Solfatara di Pozzuoli.
Centro del culto del Santo martire furono le Catacombe di San Gennaro, il di cui corpo venne traslato nel V secolo per volere del vescovo Giovanni I. Un culto tanto “forte” e “popolare” che spinse, nell’831, il principe longobardo Sicione I a riportare le spoglie a Benevento. Qui vi rimasero fino al 1154 quando Guglielmo I il Malo le portò nell’Abbazia di Montevergine, qui però le sue ossa furono quasi dimenticate: granitica era la devozione a Mamma Schiavona. Nel 1497 le sacre spoglie fecero ritorno a Napoli grazie al cardinale Giovanni d’Aragona e alla famiglia dei Carafa, che fece costruire nel Duomo di Napoli una cappella completamente dedicata al Santo.
A Napoli erano già conservati la testa e il sangue del santo. Carlo II d’Angiò aveva fatto realizzare il busto del santo in argento dorato e pietre preziose per contenere il cranio, suo figlio Roberto fece realizzare la teca per le ampolle contenenti il sangue del Santo. Sangue, secondo la tradizione, raccolto da una donna di nome Eusebia, durante l’esecuzione del vescovo. Eusebia, forse, era nutrice del Santo.
Il potere di San Gennaro è legato anche ai potenti della città. Nel 1527 aristocratici, generali, prelati ed agnostici investirono su di lui per liberare la città dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dalle eruzioni del Vesuvio. Scrissero, davanti a un notaio, un patto con San Gennaro: se avesse fermato quelle disgrazie, avrebbero costruito una cappella in suo onore dove sarebbero state tenute le sue reliquie e raccolto un tesoro. Nel 1623 l’architetto Cosimo Fanzago costruì la cappella di San Gennaro vicino al Duomo di Napoli. Il Santo fu promosso generale dell’esercito e “stipendiato”, per mantenere la sua cappella. Oggi il suo tesoro conta oltre 20000 pezzi, tra ori e capolavori di scuola napoletana, ed è considerato il più ricco del mondo.
Il ritratto più antico di San Gennaro risale al V secolo d.C., trovato nelle catacombe di Capodimonte e lo raffigura con le spalle rivolte al Vesuvio. Questo ci riconduce alle radici pagane del culto del Santo. In epoca precristiana a Napoli vi era la venerazione per il dio Mitra, divinità popolare, che proteggeva dal Vesuvio. Le vesti con cui è solito essere ritratto il Santo sono di colore giallo, come quelle con cui veniva raffigurato il dio precristiano. San Gennaro è chiamato dal popolo “faccia ‘ngiallut’”, in riferimento alla sua solarità, Mitra generava la luce all’alba. Mitra proteggeva i territori, rendeva fertile la terra con il sangue del sacrificio rituale del toro, così come oggi il sangue di San Gennaro che si scioglie nelle ampolle è auspicio di prosperità ai napoletani. Le cosiddette “parenti” del santo, una società femminile di elette, incitano il Santo al miracolo, con lamentele funebri e movenze che ricordano antichi riti estatici pagani.