Il dibattito sul cosiddetto “referendum anti-trivelle” si è caricato, in queste settimane, di significati politici e simbolici che vanno al di là della stessa questione (tutto sommato limitata) oggetto del quesito referendario. Nel confronto tra le ragioni del sì e quelle del no, o dell’astensione, si è finito spesso per prendere di mira non le tesi, ma i loro sostenitori, finendo per parlare di questioni molto più ampie, come il fabbisogno energetico, l'inquinamento ambientale, i consumi, l’occupazione.
Abbiamo, perciò, messo in fila alcune delle affermazioni che in queste settimane sono state pronunciate a sostegno del “sì” e del “no”, convinti che la correttezza degli argomenti utilizzati in una discussione sia indispensabile per comprendere il tema e quindi votare in modo consapevole.
Qual è il quesito referendario?
Il testo del quesito referendario è: Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”.
Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero una scadenza certa.
Cosa succede se vince il sì?
Se il quesito dovesse passare, alla scadenza naturale della concessione, le compagnie petrolifere non potranno rinnovare la licenza anche se i giacimenti non sono ancora esauriti.
Cosa succede se il referendum non passa?
Se il referendum fallisse, alla scadenza delle concessioni le compagnie petrolifere potranno chiedere un prolungamento dell’attività e, ottenute le autorizzazioni in base alla Valutazione di impatto ambientale, potranno estrarre gas o petrolio fino all’esaurimento completo del giacimento.
Le ragioni del Sì
Il referendum affronta diverse questioni. Innanzitutto una giuridica. Per il costituzionalista Enzo Di Salvatore (tra i promotori dei quesiti referendari) la norma presente nella “Legge di Stabilità 2016” è «palesemente illegittima in quanto una durata a tempo indeterminato delle concessioni viola le regole sulla libera concorrenza».
Poi c’è la questione ambientale. Le trivellazioni andrebbero fermate per tutelare i nostri mari.
A queste, si aggiunge quella di politica energetica. Il voto, per i promotori, ha un grosso valore simbolico. Un eventuale vittoria del Sì, darebbe un segnale al governo nell’incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Le ragioni del No
La questione energetica. L’Italia estrae sul suo territorio il 10% del gas e del petrolio che utilizza: se le concessioni in scadenza non dovessero essere rinnovate, la quota di energia prodotta da quelle attività estrattive non verrebbe sostituita da altrettante pale eoliche o pannelli solari, ma da altrettanto gas naturale o petrolio proveniente da altre parti del mondo. Diventeremmo quindi maggiormente dipendenti dai paesi fornitori come la Russia.
La questione ambientale. Se il referendum vincesse, arriverebbero in Italia più petroliere, aumentando i rischi di inquinamento da idrocarburi nel mar Mediterraneo.
La questione sociale e occupazionale. La chiusura delle piattaforme significherebbe per le migliaia di persone lavorano nel settore la fine dei loro posti di lavoro.
Le piattaforme presenti entro le 12 miglia, oggetto del quesito referendario, sono 92, di cui 48 eroganti. Di queste 39 estraggono gas e solo 9 petrolio.
Solo l’8,7% del petrolio estratto in Italia è in mare. Gran parte della ricerca di idrocarburi in Italia avviene, infatti, su terraferma.
Su 107 concessioni autorizzate, 84 sono su terraferma e 23 sul fondale marino. Le regioni in cui sono presenti pozzi a terra sono l’Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia, il Molise, il Piemonte, la Sicilia, la Toscana (con i giacimenti nelle aree di Grosseto e Pisa) e la Basilicata, dove viene estratto il 70% del petrolio nazionale.
(fonte www.valigiablu.it)