La Festa è passata, ora prepariamo la grande festa progettando il nostro futuro e concedendoci finalmente l’ultima chance. Non chiamatele parole da buonista incallito, nella tras-formazione bisogna davvero credere, altrimenti nulla cambierà, mai. Io resto dell’idea che aver posticipato la mostra su Oplonti (inizialmente coincidente con il 22 ottobre) sia stata un’altra occasione persa più che differita; la contemporaneità degli appuntamenti sarebbe stata galvanizzante e noi abbiamo bisogno di energia generata dall’entusiasmo. Ma, per fortuna, rinvio non significa rinuncia e le prossime vacanze natalizie saranno consacrate alla valorizzazione di questa immensa ricchezza - chi sa per quanta parte - ancora sommersa. Quando penso a Torre, penso a una comunità non solo stanziale, ma distribuita in tutta l’Italia e in tutto il mondo, legata a questo territorio attraverso radici non estirpabili. Perciò credo che le adunate festaiole siano sempre un fondamentale momento di aggregazione e di autoconsapevolezza.
Dunque, il domani comincia subito: il messaggio è stato confezionato da uno dei più grandi esperti di comunicazione che popolano le università mondiali, Derrick de Kerckove. Il professore, allievo del profeta dei media Marshall McLuhan, ha soprattutto proposto il concetto di felicità urbana come obiettivo che dobbiamo porci per riprendere la marcia. Praticamente una rivoluzione: siamo totalmente disabituati a parlare di felicità, figurarsi abbinare questo sentimento all’aggettivo urbana… La maggioranza dei torresi, vicini e lontani, considera proprio la città, con i suoi mille problemi eternamente irrisolti, la causa della propria infelicità. Ora questo studioso del messaggio propone di ribaltare il punto di vista: una nuova Torre, finalmente valorizzata, può regalare ai propri cittadini il sorriso e il benessere morale perduti. Se provate a cercare in Internet il concetto di felicità urbana, scoprirete che la condizione pare appartenere a pochissimi privilegiati. Da queste parti non s’è mai percepita, né recentemente né in un passato documentabile. Forse ai tempi di Oplontis dovevano davvero stare un po’ meglio; sarà per questo che magari si potrebbe ripartire proprio da duemila anni fa.
Passare dalla teoria alla pratica non è un processo tanto automatico, al centro della trasformazione c’è sempre l’uomo, artefice del proprio destino. Quindi il giro è completato, tutto torna nelle nostre mani di elettori, dipende dalle scelte fatte e da quelle che faremo quando toccherà di nuovo pronunciarsi. Ma questo non è un gioco, in palio c’è la nostra vita da innamorati pazzi di una città disperata. Una ragione in più per inseguire, tutti insieme, la nostra felicità urbana e pure quella assoluta.