A cura della Redazione
La ferita si riapre ogni anno: ne sono passati trenta e sembra ieri. La terra che trema, le case che si sbriciolano, le strade che si aprono. Torre Annunziata, per fortuna, fu periferia di quel disastro, ma i segni ancora si vedono. Anche qui - come altrove in Campania - arrivò un fiume di denaro che avrebbe potuto innescare un fenomeno virtuoso nelleconomia. Invece quelle crepe prosciugarono tutto. E dopo le cose peggiorarono, sempre più. In questi giorni quegli interminabili attimi che vivemmo alle 19,34 del 23 novembre 1980 sono stati vivisezionati: storie e analisi si sono succedute sui giornali e in televisione. Riaprire quei dossier, ora, ha poco senso, forse. Resta la certezza che il dopo sia diventato peggio del prima. Era già accaduto qualche anno prima quando lepidemia del colera aveva messo al tappeto tutta leconomia turistica delle città che si affacciano sul mare.
Succede solo qui. Non cè domani che prevalga sulloggi. Gli elenchi di Saviano non bastano a spiegare perché. Ho letto la riflessione di un giornalista meridionale, Vittorio Macioce, che un suo elenco lha fatto, per dire che è stanco di dare la colpa agli austriaci, agli spagnoli, agli arabi, ai Borbone, ai piemontesi e ai leghisti per spiegare che cosa non va al Sud. La colpa è anche nostra, forse è soprattutto nostra. Lo stesso concetto lo ha espresso Diego Marmo, il procuratore capo di Torre Annunziata, uno che non è mai andato giù tenero sulle responsabilità del degrado napoletano in genere e di quello torrese in particolare. Ha invitato la popolazione alla ribellione, ad abbandonare la strada della connivenza. Lo ha detto alla commemorazione di Raffaele Pastore, il commerciante ucciso dalla camorra un altro 23 novembre. Lo ha detto sapendo che non potrà mai esistere un popolo di eroi, ma solo cittadini che non vedano nello Stato un antagonista. Ma lo Stato è uno, ha la faccia severa del Procuratore, quella amica del capitano Toti e delle signore che reggono il commissariato, ma anche quelle senza risposta di chi più volte è stato chiamato a fornire risposte che puntualmente non arrivano. Penso ai silenzi davanti alle istanze che da Torre partono per il lavoro o per altri bisogni primari, come una città senza immondizia nelle strade. Il disinquinamento dalla camorra non è solo un affare di polizia o una pulizia culturale, ma unazione combinata che offra soprattutto alternative. Sì, è vero, non siamo eroi, e neppure solo vittime. Ma anche per ribellarci abbiamo bisogno di un aiuto che vada oltre. Altrimenti il dopo sarà sempre peggio del prima. Come trentanni fa.
MASSIMO CORCIONE