E’ il 12 settembre 1906. Sulla spiaggia dello stabilimento balneare Nunziante (l’attuale Lido Azzurro) improvvisamente si sente un urlo: «Manlio non può tornare!». Il figlio diciassettenne di Ernesto Cesàro sta nuotando e si trova in forte difficoltà per il mare agitato, ed uno dei fratelli avverte il padre. Ernesto si precipita a soccorrerlo, ma scivola sulla scaletta dellla cabina e sbatte contro la palafitta. Poco dopo muore e la stessa sorte tocca a Manlio, il cui corpo è ritrovato il giorno successivo verso capo Oncino. Il sindaco di allora, Pelagio Rossi, proclama il lutto cittadino e il giorno dopo i funerali sono seguiti da migliaia di persone. Ad Ernesto Cesàro viene intitolata nello stesso mese della morte l’attuale piazza, già “dei Comizi”, l’anno seguente la biblioteca comunale prende il suo nome, nel quinto anniversario della scomparsa una lapide in suo onore viene scoperta in piazza Nicotera (poi trasferita in piazza Cesàro), nel 1921 gli viene dedicato un busto marmoreo nel cimitero e, infine, nel 1931 l’attuale istituto tecnico è intitolato a lui.
Chi era Ernesto Cesàro e perché era così importante? Nato a Napoli, nel palazzo Fondi di via Medina, il 12 marzo 1859, da Luigi (nativo di Nocera) e da Fortunata Nunziante, i genitori erano residenti a Torre Annunziata e si erano trasferiti a Napoli per motivi di lavoro (il padre fu sindaco di Torre Annunziata dal 1848 al 1850, ed era viceconsole di Danimarca e anche un ricco agricoltore, uno dei primi in Italia ad introdurre l’uso delle macchine agricole). Ernesto fece i suoi studi prima presso il convitto Vittorio Emanuele di Napoli, poi per due anni nel seminario di Nola. Nel 1872 raggiunse il fratello Giuseppe, che studiava all’università di Liegi, successivamente andò a Parigi a seguire le lezioni del grande matematico Charles Hermite, ma non poté iscriversi all'università perché non aveva la cittadinanza francese. Ritornò quindi a Napoli dove, nonostante già sbalordisse i docenti per la sua bravura, non fu ammesso al primo anno della facoltà di Matematica perché sprovvisto di licenza liceale. Di nuovo a Liegi, intraprese gli studi di ingegneria matematica e pubblicò con successo i suoi primi lavori. All’età di venti anni, però, perse il padre Luigi, morto a Torre Annunziata, nella sua casa in via Eolo al numero 4, all’età di 75 anni, il 29 luglio 1879 (atto 383 dell’archivio storico torrese). Cominciò allora, per Ernesto, un periodo di grandi difficoltà economiche. Nonostante ciò, tre anni dopo, il 27 settembre 1882, sposò la nipote Angela Cesàro (atto 127, presso l’archivio citato) e per questo motivo fu annotato che «gli sposi hanno ottenuto dispensa dall’impedimento risultante dalla parentela tra loro esistente, con Decreto Reale in data 3 agosto 1882».
La sua situazione finanziaria continuò a peggiorare, tanto da spingere Cesàro a chiedere un contributo al comune di Torre Annunziata, allegando all’istanza i suoi lavori. Per interessamento del matematico torrese Nicola Salvatore Dino e del sindaco Ciro Ilardi, ottenne un sussidio mensile di 125 lire nel 1883 e di 1.550 lire annuali per il 1884. Persino il ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis gli attribuì un aiuto economico, dopo averlo invitato a colazione. Oramai Ernesto Cesàro stava diventando famoso per i suoi studi e le numerose pubblicazioni. L’università di Roma gli concesse l’iscrizione al quarto anno di Matematica pur non essendo diplomato, l’università di Palermo lo nominò professore ordinario di analisi algebrica pur non essendo laureato, perché si era classificato primo al relativo concorso.
Il Ministero della Pubblica Istruzione autorizzò l’università di Roma a concedergli la laurea ad honorem «per essere uno dei più fecondi ed originali geometri contemporanei» e in tale occasione il comune di Torre Annunziata, nel congratularsi con lui, gli regalò 350 lire di libri di matematica.
Nel 1891 l’università di Napoli gli assegnò la cattedra di calcolo infinitesimale, che occupò fino al 1906 quando l’università di Bologna lo nominò sulla cattedra di meccanica razionale, che non poté occupare perché in quell’anno morì a Torre Annunziata. Prima della sua scomparsa le università di Liegi, Cambridge e Parigi ne avevano già riconosciuto il suo genio a livello europeo. La nostra città lo ricorda come uno dei suoi più importanti «figli adottivi».