A cura della Redazione
Ormai è un fatto. I rifiuti, o monnezza se preferite, sono entrati a far parte in maniera visibile (e fiutabile) della nostra vita quotidiana. Fetidi cumuli di sacchetti per le strade, in bella mostra sulle prime pagine dei giornali, attori protagonisti di film e documentari (uno su tutti Biùtiful cauntri, nelle sale da qualche giorno), in bocca a scienziati e politici, nonché argomento prediletto di conversazione a tavola, dal salumiere, in ufficio. Sembrerebbe una novità. Una presenza ingombrante quanto disgustosa. In realtà le arti figurative si sono da secoli appropriate del rifiuto, dello scarto, del brutto del corpo e dellanima, restituendogli vita e significato. Un modo per sfidare le convenzioni artistiche e sociali, contro i correnti canoni di giusto e bello; per creare un nuovo contatto, autentico, senza filtri, con il mondo; per riflettere su quella decadenza naturale che è fin dalla nascita in tutte le cose, uomo compreso.
I rifiuti dellarte: oggetti, corpi, scenari è il titolo di una conferenza, la prima del ciclo Immagini nel tempo - Le muse inquiete e le metamorfosi del mondo, tenuta il 6 marzo dal prof. Francesco Cipriano allI.S.A G. de Chirico. Lidea è nata da unistallazione realizzata dagli studenti sullondata del clamore suscitato dall emergenza (meglio sarebbe parlare di persistenza) rifiuti, utilizzando dei sacchetti di immondizia e sistemandoli nellatrio dellistituto in mezzo alle statue classiche. Da qui parte un percorso teorico che indaga i rapporti tra arte, ambiente e storia. Si comincia da Caravaggio, che per primo introdusse nellarte il rifiuto umano, lo scarto della società, i poveri, le prostitute, gli appestati, restituendo le ombre del mondo (in senso non solo figurato, ma anche tecnico, con i pesanti chiaroscuri) e sconvolgendo lo statuto espressivo dellepoca. Un artista che apre la strada al realismo, in opposizione alla perfezione del classicismo di tutti i tempi, contro larte aristocratica del sublime e del prestigio. Una ricerca di vero che si ritrova anche in Van Gogh, con la serie di scarpe vecchie e logore, e Picasso, nei paesaggi desolati e nei personaggi smagriti e tristi del cosiddetto periodo blu. Ma oltre alla realtà visibile cè anche una dimensione immateriale e non meno oscura che entra nelle tele dei pittori: è quella dellincubo, dei labirinti della psiche, del senso dellorrido, di quel grande ignoto indicibile a parole. Gli artisti visionari esplorano proprio queste pieghe dellanima, a partire dai mostri e demoni di Bosch e Goya, fino al surrealismo di Dalì e allastrattismo non meno angoscioso di certi quadri di Kandiskij. È però con lavvento della società dei consumi che i materiali di scarto diventano oggetto dellarte e nellarte, fisicamente: Lirruzione del rifiuto, delloggetto qualunque, dà allopera una tensione diversa: immettendo nel suo corpo frammenti di mondo, la ricollega ad esso in maniera non solo rappresentativa ma materiale. È il dadaismo, che contesta gli stereotipi della rappresentazione con opere irriverenti e provocatorie, in rivolta contro gli schemi e le regole dellarte e della società borghese. Il simbolo dellarte del rifiuto può essere considerato la celebre Fontana di Duchamp: qui non cè nessuna manipolazione ma solo lesibizione delloggetto del mondo, seppur slegato dal suo contesto ordinario, quasi a voler negare larte stessa. Oggi i figli e i nipoti del dada non smettono di stupirci, larte continua il suo percorso, e, come dice il prof. Cipriano, è un sismografo che anticipa i cambiamenti del mondo. Quello che ci racconta è un universo in disgregazione, fisica, sociale e morale, la monnezza ce labbiamo ormai fuori e dentro, tra scenari apocalittici di una terra sommersa dai rifiuti e inghiottita dalle acque, identità e differenze minacciate dalla globalizzazione, e lincertezza come unica sicurezza delle nostre vite. Ma è possibile un equilibrio tra il consumismo (che ci rende tanto felici), larte (sollazzo per sfaccendati), la modernità (che dicono ci salverà), e la natura (timido ostacolo al dominio delluomo)? Per preservarci dal decadimento, nostro e del mondo, è evidentemente necessario uno sforzo comune. Ancora il prof. Cipriano: Sta alla volontà di tutti (ognuno nel suo campo e secondo le proprie capacità) cercare di creare un progetto collettivo, che non può che essere politico: bisogna organizzare la società secondo forme condivise che guardino al futuro e non solo al presente. E non solo è possibile: è fondamentale.
FORTUNA BALZANO