Domenica 7 novembre 2021, nel Santuario di Pompei, durante la Celebrazione Eucaristica delle 11.30, presieduta dall’Arcivescovo della città mariana, Mons. Tommaso Caputo, sarà letto il Decreto di Venerabilità di Enrichetta Beltrame Quattrocchi, promulgato il 30 agosto scorso.
Enrichetta era figlia di Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, la prima coppia di sposi beatificati assieme, il 21 ottobre 2001, da Giovanni Paolo II, per aver vissuto il matrimonio come un cammino verso Dio.
Il legame tra la famiglia Beltrame Quattrocchi e il Santuario di Pompei è molto antico e risale a prima del fidanzamento dei due sposi beati. Fondamentale l’incontro con Mons. Aurelio Signora, Arcivescovo di Pompei dal 1957 al 1977, che divenne padre spirituale di Enrichetta e con il quale si incontrava a Roma o a Pompei, dove si recava spesso con la mamma. Fu proprio Monsignor Signora a celebrare i funerali della sposa, poi proclamata Beata.
Vergine e laica consacrata, ultima di quattro figli, Enrichetta trascorse la sua vita meditando la Parola di Dio e pregando. L’attenzione verso l’altro la caratterizzò sempre. Ebbe un forte legame anche con il Servo di Dio Francesco Saverio Toppi, frate cappuccino e Arcivescovo di Pompei dal 1990 al 2001.
Enrichetta era la figlia che non doveva nascere: la madre, incinta al quarto mese di gravidanza, ebbe una grave emorragia e un ginecologo, allora considerato tra i massimi esperti, consigliò l’interruzione immediata della gravidanza per evitare gravi conseguenze anche alla madre. Ma i coniugi opposero un ‘no’ categorico all’aborto.
È stata una donna del ‘900 all’avanguardia, prima ancora di laurearsi prestò servizio in guerra come crocerossina insieme a sua madre, fu insegnante di storia dell’arte e attiva nell’associazionismo cattolico non lasciando mai soli i giovani. «Contagiava con la sua gioia di vivere – racconta Padre Massimiliano Noviello, frate cappuccino e Postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Quattrocchi e di Toppi –. La sua è una santità nel quotidiano perché, avendo sempre il cuore spalancato agli altri, rendeva speciale l’ordinario».