La novità del dibattito politico, aperto solo in parte con il diktat del Partito democratico, riguardo il candidato a sindaco dello schieramento di cui dovrebbe far parte, ma anche dal nuovo fermento che sta vivendo Pompei nel post lockdown, sospinto dal ceto commerciale (l’adesione a Confcommercio ha superato recentemente i cento iscritti), chiede una classe dirigente che non faccia solo gli affari propri ma pensi anche al bene di Pompei.
La novità riguarda la spinta motivata dal basso ad escludere dalle liste elettorali (in entrambi gli schieramenti) quei quattro o cinque “volti noti” che da anni fanno il bello e il cattivo tempo a Pompei, imponendo scelte di parte e sciogliendo i consigli comunali quando i sindaci non si attengono alle loro precise istruzioni, come è successo negli ultimi due casi dove due sindaci legittimi, magari parzialmente incompetenti del fare politichese ma fondamentalmente persone per bene, sono stati mandati a casa per non aver dato seguito agli ordini di scuderia.
Si tratta di personaggi quasi tutti già noti della vecchia politica. Passano disinvoltamente da uno schieramento all’altro sulla base dell’esclusiva considerazione di accedere al Palazzo. Riescono a fare masse di voto nelle borgate agricole di Pompei città, facendo leva prevalentemente sulle presunte coperture degli abusivismi di basso profilo (il muretto di cinta, la stalla degli animali, la serra non autorizzata o tutt’al più la stanza da letto della figlia che si deve maritare), mentre gli abusivismi impuniti del centro moderno ed archeologico riguardano profili aziendali di tutt’altra caratura.
E’ una politica matura (anzi marcia) che è oramai arrivata al capolinea. I pompeiani per bene che portano avanti la famiglia col sudore della fronte non ne vogliono sapere più niente dei vecchi ritornelli della politica pompeiana e fanno pressioni per il rinnovamento in entrambi gli schieramenti che si vanno a configurare a Pompei.
Vedremo insieme come andrà a finire.