Bisogna fare rete contro la violenza: modello di comportamento prevalente nella nostra società e che i giovani hanno assorbito nel loro modo di relazionarsi con coetanei.
Bisogna in primis metterci la faccia in una lotta che riguarda tutti e per questo motivo a ognuno la sua parte: i ragazzi devono isolare i violenti e denunciarli, quando necessario; i genitori hanno il compito di vigilare sui minori, mentre le Istituzioni devono progettare una società umana e solidale che reprima con durezza ogni affronto alle regole di convivenza.
“Deve emergere un nuovo modello di sviluppo educativo”. Lo ha detto Maria Luisa Iavarone presidente dell'associazione “Artur”, che ha catturato l’attenzione dei giovani studenti nel corso di un interessante convegno al liceo Ernesto Pascal di Pompei, in cui i relatori, a partire dalla dirigente scolastica Filomena Zamboli, hanno cercato di interpretare le insicurezze che i ragazzi del nostro tempo pagano con il loro sangue e il loro equilibrio mentale.
Un recente avvenimento di violenza è avvenuto ultimamente in via Carlo Alberto, a Pompe, una strada residenziale e tranquilla, diventata negli ultimi anni teatro di bullismo urbano nelle notti dei fine settimana perché frequentato da coppie in cerca di momenti di effusione. Bisogna dire che la reazione della società civile nel migliorare la sicurezza ambientale e il controllo e la repressione della violenza si è fatta subito vedere. Al tavolo del convegno, oltre al sindaco Pietro Amitrano, erano seduti il capo della polizia municipale Gaetano Petrocelli e il funzionario della Polizia di Stato Paolo Oreste, che hanno risposto con impegni concreti di iniziative, parzialmente decollate, a difesa della sicurezza dei ragazzi e di tutto il contesto urbano.
Il sindaco Amitrano ha fatto scrivere il suo numero di cellulare alla lavagna: “Chiamatemi quando avete problemi”. Alla fine la risposta si è concretizzata in un’analisi “col bisturi” della piaga sociale del bullismo. “Il bullo è stato anche lui una vittima”, ha affermato la sociologa Anna Malinconica ribadendo che una società che non mette al primo posto i giovani non ha futuro.
Ma al di là delle analisi servono risposte concrete e almeno come primo approccio le reazioni positive sono nell’aria. Lo abbiamo notato seguendo lo sguardo, prima emotivamente commosso poi consolato, della professoressa Maria Luisa Iavarone che del suo dolore familiare (e soprattutto di madre consapevole) di aver vissuto in famiglia il dolore delle ferite profonde inferte dai colpi selvaggi del bullismo giovanile, ha fatto motivo di testimonianza sociale e di riscatto che aiuta la riflessione motivata al cambiamento di metodi e di misure più efficaci da adottare.
Le conclusioni del presidente dell’Osservatorio della legalità Rosario Alfano. ”Bisogna imparare a collaborare per costruire il futuro”. Affermazione quanto mai realistica se riferita alla formazione dei giovani che richiede grande comprensione e sensibilità e, quando occorre, polso fermo e intransigenza per quanto riguarda i principi fondamentali della convivenza che, come è stato felicemente osservato, sono sanciti dall’articolo 3 della Costituzione Italiana.