Satyricon di Francesco Piccolo puntella le ambiguità dell’odierna società dei consumi nella malinconia dei vuoti di certezza e nella ricerca di un edonismo che appare sempre incerto e inconsistente. Alla fine è sempre una questione di scelte, di linguaggi.
Lo spettacolo confronta nei fatti la decadenza dell’impero romano narrata da Petronia a quella attuale, connotata dalla mancanza di voleri e di valori. Alla fine si dipinge con colori forti ed un testo a parte roboante un’umanità smarrita che nel dolore ha perso ogni senso del ridicolo in cui i vinti sono forse più ridicoli degli stessi vincitori perché hanno sacrificato nel nulla il loro primato morale, Enclopio, Ascito e Gitone dopo una ridicolo aindecisione si portano alla festa nella villa opulenta di Trimalcione dove si annuncia e si ostenta un ricco menù gourmet di portate che non vengono mai servite.
E’ un elenco di “attrazioni culinarie” che diventa un modo per comunicare il nulla cui segue un silenzio imbarazzante. Silenzio che viene interrotto da Fortunata, la moglie di trimalcione che a tratti enuncia i suoi valori di difesa di una forma alternativa di vita con un candore che assume un significato irreale al confronto della società di cui è essa stessa parte. L’opera si conclude in un momento di malinconia esistenziale in cui Trimalcione si taglia le vene tra le braccia di Fortunata. Chi è il più vero tra i due personaggi? Un interrogativo rivolto agli spettatori.
LETIZIA VITIELLO