Nel vino e nelle altre innovazioni di prodotto spesso si afferma una riaffermazione dell’Antico. E’ il caso della produzione del vino in anfora, nei cosiddetti dolia pompeiani utilizzati per la fermentazione e conservazione del vino “all’uso greco”. Il Bosco dei Medici Winery ha proposto con il suo egregio divulgatore Antonio Russo e il delegato A.I.S Comuni Vesuviani, Ernesto Lamatta, in collaborazione coi colleghi sommelier, la degustazione d’autunno 2018 (svoltasi lo scorso 19 ottobre, con il Dressel 19.2, l’etichetta ufficiale del Caprettone (vinificazione d’uva bianca autoctona del Vesuvio del vigneto “La Rotonda”, sito a Terzigno, in anfora di terracotta, metodo pompeiano). Il vino che celebra l’universalità del "pompeiano" nel mondo antico.
Etichettarlo a nome del filologo Heinrich Dressel (insieme alle coordinate catastali del vigneto) è stata una felice intuizione che dà merito al filologo che ha battezzato le antiche anfore vesuviane, come quelle scavate nella domus di Marco Fabio Rufo a Pompei, dove si propiziava il business lucroso del vino con riti misterici dedicati a Dionisio. La vinificazione del Bosco dei Medici è realizzata con “pressatura soffice” delle uve, seguita dalla fermentazione a temperatura ambiente in anfore di terracotta (da 250 litri) e dalla macerazione (con bucce e raspi) per 21 giorni, svinatura lenta nelle anfore e step conclusivo d’affinamento in acciaio a temperatura controllata e sette mesi in bottiglia.
Tre famose cantine vinicole sono state testimonial d’eccezione della serata del 19 ottobre con le loro sperimentazioni, fatte con uve e tecniche che prevedono la macerazione in anfora. Ha esordito Antonio Arrighi offrendo in degustazione agli ospiti il “Valerius”, da uve Ansonica, abbinato (come gli altri vini in degustazione) a portate a funghi porcini e castagne, preparati dallo chef resident Gioacchino Nocera e dai suoi collaboratori. Arrighi vinifica a Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba, con le metodologie della tradizione classica. Esemplare il progetto di “surmaturazione” delle uve messe ad appassire in ceste di vimini a 7 metri sotto il livello del mare.
Secondo vino in degustazione è stato il “Nzù”, il capolavoro della Marco Carpineti di Cori, sempre in anfora, che nasce in terre di collina molto più antiche di Roma. “Nzù” in dialetto locale significa “insieme”. Il “Marco Carpineti” produce vino da uve di vitigni autoctoni, per lo più sconosciuti. Dulcis in fundo la degustazione del Pithos Rosso 2016 da uve Nero d’Avola e Frappato vinificato dalla Cos di Vittoria in anfore di terracotta interrate. Un’anforaia da primato nazionale con i suoi 155 recipienti di terracotta. L’azienda Agricola Cos è stata fondata nel 1980 da Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti. Opera a Vittoria, nella provincia di Siracusa, e produce un vino che respira d’Africa nel paesaggio urbano ed agreste fatto di uliveti, carrubeti, mandorleti e le vigne che prosperano in un microclima ideale per il vino. La azienda segue i principi dell’agricoltura biodinamica nel rispetto dei limiti della biodiversità.
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