Tentata estorsione per conto del clan: condannato il “quarto uomo”. Aveva preso parte al tentativo di estorsione ai danni di due imprenditori titolari di un'industria conserviera di Pompei, anche se “non ha mai parlato”. Per questo motivo, Vincenzo Severino, 21enne incensurato di Pompei, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione.
Accusato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, per lui il pm Giuseppe Cimmarotta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli aveva chiesto la condanna a 4 anni di reclusione. I fatti contestati risalgono allo scorso mese di agosto, quando in due momenti diversi, quattro esattori del “clan Dario” avevano provato ad imporre il pizzo ad una azienda conserviera di Pompei, facendo leva sulla loro appartenenza al gruppo del boss Dario Federico, detenuto e storico referente su Scafati e dintorni per il clan Cesarano.
Il 21enne, incensurato, era stato arrestato in un secondo momento, per colpa di un tatuaggio che l'aveva reso riconoscibile ai poliziotti: imparentato con uno dei tre arrestati, era andato in Commissariato a salutare ed era stato identificato dai poliziotti di Pompei, che avevano appena eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di Aniello Cirillo, di 43 anni, del figlio Angelo Cirillo di 22 anni e di Valerio Varone, di 39 anni, responsabili in concorso del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Lo scorso mese di agosto, i quattro uomini si erano avvicinati ai due fratelli imprenditori di Pompei chiedendogli un “regalo per i carcerati” di 3mila euro da versare in occasione delle feste di Ferragosto, Natale e Pasqua. Tre rate, una per festività, per conto del boss Dario Federico, a cui loro “appartenevano” ed erano già legati, come ricostruito da precedenti inchieste dell'Antimafia. Da poco tornati liberi Cirillo senior e Varone, era ripresa l'attività, che “spendeva” il nome pesante del ras scafatese. Aniello Cirillo, già sottoposto alla misura della Sorveglianza Speciale con obbligo nel Comune di Pompei, il figlio Angelo, detenuto domiciliare con permesso di assentarsi, erano stati arrestati alle prime luci dell’alba. Valerio Varone aveva invece ricevuto la notifica del provvedimento direttamente in carcere dove era già detenuto da alcuni giorni, perché accusato di detenzione di un'arma per conto anche del clan Gionta.
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