«Non possiamo permetterci di dare impiego ai profughi a danno dei cittadini, in un’area del Paese che registra il tasso di disoccupazione più alto d’Europa». Lo afferma Antonio Pepe, segretario aziendale del sindacato autonomo Unsa dei dipendenti degli Scavi archeologici di Pompei, dopo le notizie sull’iniziativa di impiegare i migranti che giungono in Italia negli Scavi di Pompei. Al contrario Pepe è del parere che di questi tempi assumerli (anche temporaneamente) come custodi o operai nel Parco archeologico vesuviano, rappresenta un oltraggio ai tanti disoccupati del territorio ed un affronto alla giustizia sociale oltre che un insulto ai giovani che poi vengono definiti “bamboccioni” dall’opinione pubblica in quanto, trovandosi senza lavoro, si vedono costretti a vivere in casa con mamma e papà.
«Per fronteggiare la piaga il Governo del nostro Paese che fa? - si chiede il rappresentante sindacale -. Offre impiego ai profughi». Pepe definisce l’iniziativa (sottoscritta anche dal direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna) «a dir poco biasimevole perché offende i giovani disoccupati italiani che vedono sottrarsi la possibilità di ottenere un posto di lavoro negli Scavi di Pompei ed in questo modo si vanifica la loro speranza di formare una famiglia».
Pepe esprime l’opinione secondo la quale il patrimonio culturale, storico ed archeologico di Pompei, deve essere tutelato, in primis, perché rappresenta la “memoria” dell’Europa e dello Stato italiano, inoltre costituisce il “motore” per lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio vesuviano». Del resto, l’ultimo crollo nella Casa della Caccia ai Tori rappresenta un segnale: è sempre necessario tenere la guardia alta nei controlli e nella manutenzione ordinaria del sito archeologico vesuviano, pertanto è necessario potenziare l’occupazione a tutti i livelli e non prorogare esclusivamente il contratto agli esperti dello staff tecnico. Inoltre, in considerazione dell’alto numero di disoccupati e nel rispetto della loro condizione disagiata, è necessario assicurare la loro tutela ed aspettativa di un futuro dignitoso.
«Dobbiamo prima risolvere i problemi di casa nostra e poi occuparci degli altri, anche al fine di evitare discriminazioni che alimentino il razzismo e la delinquenza». E’ la conclusione di Pepe, condivisa da numerosi iscritti al suo sindacato e da altri dipendenti del Parco archeologico di Pompei che potrebbero (almeno in parte) non accogliere a braccia aperte i colleghi profughi, provenienti da altri Paesi.
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