Annuncio shock nel corso di un convegno scientifico agli scav archeologici di Pompei da parte del direttore generale della Soprintendenza, Massimo Osanna. «Pompei non finisce mai di stupire. Si è sempre immaginato che fosse un abbraccio fra donne. Ma tac e DNA hanno rivelato che si tratta di uomini». Forse un abbraccio omosessuale impresso per l’eternità in un calco di Pompei. Si tratterebbe di una scoperta sensazionale fatta con il sistema di analisi scientifiche del DNA. Forse si tratta di un tragico abbraccio mortale di due uomini amanti quello impresso nel calco della Casa del Criptoportico, ricavato negli Scavi di Pompei, che l'archeologo Giuseppe Fiorelli definì vittime «rapite alla morte» agli inizi del Novecento. La cultura gay campana si arricchisce (dopo Paestum) di un altro pezzo romantico nell’archeologia classica locale.
«La favolosa scoperta nella casa del Criptoportico ci persuade che è venuta l’ora di convocare un Pride a Pompei, capitale della cultura mondiale e, d’ora in poi, anche capitale dell’amore tra gli uomini», ha dichiarato Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli, chiedendo la convocazione del “Pride” per il 2018 nella città mariana. Il tutto dopo che gli studi antropologici con analisi del DNA su due corpi della casa del Criptoportico rinvenuti ad inizio ‘900 hanno ribaltato le convinzioni precedenti riguardo al sesso delle due vittime dell’eruzione. Scoperta fatta nel corso dei recenti restauri dei calchi di Pompei. Il soprintendente Vittorio Spinazzola ,dell’epoca del rinvenimento (era il 1914) si convinse che i ue corpi ritrovati distesi e vicini, l’uno con la testa nel grembo dell’altro, appartenessero a due donne. Al contrario, le conoscenze attuali hanno consentito di affermare che quei due corpi, sulla base della conformazione ossea e dei caratteri morfologici, corrispondono l’uno a un individuo adulto (più di 20 anni) e l’altro ad uno più giovane (circa 18 anni).
Le analisi del DNA hanno determinato che la vittima più giovane era certamente un uomo, forse anche l’altro. Le analisi sono state fatte su un dente e frammenti ossei, cercando d’indagare anche sulle relazioni di parentela per linea materna che però non è stato possibile dimostrare. «L’utilizzo delle indagini antropologiche e di DNA si rivela sempre più uno strumento fondamentale per la conoscenza scientifica - ha dichiarato Osanna - perché sono in grado di dare certezza in campo archeologico alle ipotesi precedenti. Nel nostro caso possiamo affermare che non si tratta di due donne e che non vi fosse rapporto di parentela in linea materna. Tuttavia - conclude il professore Osanna - non si può concludere scientificamente quale tipo di legame affettivo unisse le due vittime».
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