Assolti perché il fatto non sussiste. E' scritto nel dispositivo della prima sentenza per il processo contro i custodi della Soprintendenza archeologica vesuviana, che nel 2012 impugnarono il decreto penale di condanna (pena sospesa) che li riteneva colpevoli di alcuni reati. Questo è il risultato finale espresso nella sentenza emessa dal giudice Rosaria Maria Autieri, a conclusione del processo che partì con indagini della Guardia di Finanza che hanno riguardato i dipendenti del Mibact, beneficiari di un progetto di produttività nel 2006.
Davide Fiorentino, l’avvocato che in collaborazione con Domenico Di Casola ha alla fine prevalso sul precedente dispositivo penale che condannava i custodi degli Scavi di Pompei, ha dichiarato: “Questa sentenza rende giustizia alla società civile e ai lavoratori coinvolti nella realizzazione di un progetto di produttività, tra l’altro sottoscritto tra amministrazione e sindacati, per compensare le ore di lavoro straordinario realizzate dal personale di vigilanza per garantire lo scambio di consegna tra gli anni 1988 e 1996, mai retribuito dall’amministrazione” .
E’ la dichiarazione di Fiorentino riguardo la sentenza sull’accordo sindacale che fu stipulato dopo centinaia di ore di assemblee e manifestazioni sindacali con l’interruzione delle attività ordinarie lavorative e l’impossibilità di ingresso negli Scavi di Pompei per i turisti italiani e stranieri. Al fine di trovare una soluzione alla vertenza, nel 2004 fu avviato un confronto tra il direttore amministrativo e le organizzazioni sindacali. La conclusione fu un accordo studiato appositamente per compensare in modo alternativo, con una “trovata creativa”, prestazioni professionali oggettivamente rese dal personale di vigilanza nelle consegne ai cambi dei turni di sorveglianza, perché quelle ore di lavoro prevedevano corrispettivi che risultarono prescritti perché il tempo trascorso infruttuosamente nelle trattative fu più del consentito. Sul piano processuale l’unico imputato (capro espiatorio) fu il direttore generale dell’epoca Crimaco, che se l’è cavata con la prescrizione dei termini. Al contrario, tutta la dirigenza dell’epoca della Soprintendenza vesuviana (Guzzo, Crimaco e Piemontino) è stata condannata dalla Corte dei Conti a risarcire il danno causato allo Stato Italiano.