Questa è la storia di Rosario Iannucci, ragazzo come noi, cresciuto sulla strada e laureatosi a pieni voti in quella università popolare non riconosciuta, ma riconoscibile a occhi chiusi.
Questa è la storia di AICOVIS, istituzione benemerita nata 25 anni fa da una splendida intuizione di un uomo biondo diventato bianco ma non vecchio.
Questa è la favola costruita come un puzzle: tassello dopo tassello, esecuzione di un progetto che emergeva, una figura per volta, dalla testa vulcanica di chi non si è mai arreso. E ora, un quarto di secolo dopo, ha visto un microscopico virus rimandargli la festa, la sua festa, la celebrazione di un’idea che mai avresti creduto potesse realizzarsi qui, a casa nostra, dove manco ti ricordi di un’idea concepita nel 1995. Il galà per questo anniversario importantissimo avrebbe dovuto tenersi nei giorni di Natale, come le grandi feste. Ma i trionfi non tollerano altra modalità che la presenza diretta di tutti i protagonisti di un’impresa che è stata la consacrazione di un presidente, il Presidente Rosario, il solo capace di resistere tanto. Si è arreso Berlusconi, è tornato a far da spettatore Moratti, ha maturato la pensione perfino il sindacalista del pallone Sergio Campana. Ma il signor Iannucci, dottore in generosità e capa tosta, è ancora qui, pronto a rimandare l’appuntamento a quando il terribile incubo chiamato pandemia sarà finalmente svanito, esorcizzato dal vaccino e dalla nostra disperata voglia di tornare alla normalità. Nel frattempo cominciamo a fare gli auguri all’AICOVIS, fondata il 25 novembre del 1995,
Io, noi passati dai ruspanti anni Cinquanta al futuribile 2000, di questa fantastica avventura siamo stati silenziosi testimoni: quante volte ci siamo chiesti dove volesse arrivare il nostro amico con quella squadra costruita sullo spontaneismo, reclutando uno dopo l’altro tutti i giovani di buona volontà e di grande entusiasmo che nascevano da queste parti. Non prometteva soldi o ricchezza, non garantiva notorietà e fama, eppure ha raccolto sempre il meglio che questa terra di sognatori ha prodotto nel tempo. Il successo non poteva non arrivare, e anche noi, anche i tifosi troppo turbolenti, siamo ora un po’ migliori di quanto non lo fossimo prima. Siamo più avversari che nemici. Questo per tutti, da Iannucci al più freddo simpatizzante di questo prestigioso club della solidarietà, vale quanto un Oscar vinto a Hollywood, anzi un pieno di Oscar: per la migliore regia, per il migliore attore protagonista (sempre lui, Rosario Iannucci), per tutti gli attori non protagonisti (uomini e donne, senza eccezioni), per le scenografie degli striscioni sinceri esposti, per i costumi rappresentati dalle magliette scelte per segnare il senso di appartenenza al gruppo.
Ciro Immobile, oggi il testimonial più famoso, aveva cinque anni quando l’Associazione-contro-la-violenza-negli-stadi lanciò i primi messaggi, parole di pace in un mondo, quello del calcio, percorso da troppa violenza. Il papà Antonio sognava diventasse un calciatore bravissimo, ma nessuno avrebbe scommesso che sarebbe diventato il centravanti della nazionale più bella e avrebbe raggiunto Signori nella classifica all time dei cannonieri della Lazio. Quel ruolo da ambasciatore gli ha portato benissimo e Ciro l’ha onorato con il suo straordinario esempio in campo. Oggi è il simbolo della festa, l’attaccante che ha fatto più gol in Europa, il più bel regalo che Rosario potesse immaginare per la sua associazione.
Per festeggiare, tutti insieme, basterà aspettare ancora un poco: il tempo di segnare l’ultimo gol: quando nella rete finirà quel maledetto Covid 19, la festa potrà cominciare. Quel giorno, finalmente baci e abbracci per tutti.
(Nella foto il presidente Iannucci con Ciro Immobile)